Un diverso punto di vista

di Giorgio Zambon - CAI Conegliano 2002

E' una di quelle giornate autunnali che ti fanno scendere le lacrime osservando cosa la tavolozza della natura è in grado di esprimere nei boschi e sulle cime.  L'aria è tersa, frizzante quando inizio una delle mie solitarie escursioni montane per ascoltare il "canto del silenzio".
Ben vestito ed attrezzato per affrontare la giornata, sono armato della mia macchina fotografica nella speranza di qualche piacevole incontro con i "residenti" del luogo che, finalmente tranquilli dopo un'estate caratterizzata dalla presenza degli "invasori", ritornano a muoversi liberi e non si spostano più di tanto se continui a camminare in silenzio e gli dimostri di essere solo uno strano animale non predatore.
Salgo al Col di Lana per il sentiero che parte da Livinallongo e gradualmente raggiungo le prime postazioni italiane per poi proseguire verso la cima dove, alla quota denominata "Cappello di Napoleone", si gode uno splendido panorama delle cime circostanti. Osservo i prati che paiono caratterizzati da uno strano fenomeno carsico, ma in realtà si tratta delle voragini provocate dai proiettili dell'artiglieria di oltre 80 anni fa. Proseguo deciso verso la cima, modesta se confrontata con le grandi sorelle che la proteggono ai quattro lati, ma gli ultimi 50 metri sono ripidi e degni di salite ben più impegnative.
Giunto in cima, nel totale silenzio, osservo la buca da mina che, date le prime nevicate, sembra un tranquillo laghetto di montagna piazzato in un posto sbagliato. Entro nella capanna, sempre aperta a tutti, per mangiare qualcosa e, da buon "drogato" di letteratura, mi ritrovo a leggere il libro del bivacco coperto di frasi e firme in ogni lingua (molte le frasi in tedesco). Prima di tornare a valle, mi giro per osservare la cima del Sief, così vicina e separata da una cresta così sottile che due persone non riescono a camminare affiancate. Trovo un pezzo di giberna e, prima di ridiscendere a valle, aggiungo quel frammento di memoria al cippo per tutti i caduti indistintamente, nella speranza che anche altri, come molti prima di me, aiutino a mantenere il vero monumento fatto non dalle targhe e dalle frasi ampollose, ma dai brandelli di sofferenza di chi , qui, è caduto per un ideale o per un ordine superiore.
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Sono le due del mattino, la tenda dove ho dormito insieme con altri fanti è coperta di brina. Non sono riuscito a chiudere occhio nonostante la stanchezza della lunga marcia per arrivare dalla pianura fin qui, sotto le cime. Già da lontano ieri si sentivano i colpi dell'artiglieria che il nostro comandante ha detto essere di preparazione per l'assalto che noi gloriosi alpini compiremo per la più importante conquista bellica del settore dolomitico. Ci hanno fatto alzare a quest'ora perché l'avvicinamento al fronte è contrastato dal fuoco austriaco e solo di notte ci sono buone probabilità di arrivare vivi.
Sento freddo per il sonno e per la divisa umida dalla pioggia che ci ha accompagnato per buona parte della strada. Al principio guardavo affascinato i bagliori della battaglia che illuminano le montagne di una luce che è una via di mezzo fra una festa di paese e un incendio venuto direttamente dall'inferno: i razzi di segnalazione che sono come il magnesio dei fotografi e, sopra tutto ciò, i lampi delle granate seguiti dopo pochi secondi dal rombo possente dell'esplosione. Adesso ci stiamo avvicinando ed ogni colpo è una martellata nel petto, ogni bagliore è una lama negli occhi, ogni razzo è una fotografia a noi bersagli che ci sentiamo come i pupazzi del tiro a segno.
Arriviamo alle postazioni sotto la cima, dobbiamo dare il cambio a ciò che resta della precedente compagnia, pare quasi impossibile che siano così pochi. Come è vicina la vetta, pare poterla raggiungere con una corsa, ma lassù le mitragliatrici austriache si fanno sentire ed il terreno circostante, che pare rivoltato da una mano gigantesca, è coperto di corpi e si spande intorno l'odore dolciastro del sangue e della putrefazione. Io arrivo da altri fronti ed altre battaglie, ormai sono abituato a queste scene e il mio unico pensiero è rivolto al presente, al prossimo rancio e a quando ci ordineranno di attaccare la cima e di percorrere il sentiero del "Col di Sangue" come ormai le truppe chiamano questa montagna, usando i nostri compagni caduti per tentare di proteggerci durante l'assalto.
E' il 17 aprile 1916 la nostra artiglieria sta martellando la cima come se volesse staccarla dal resto del monte e già sappiamo che questa sera ci sarà un assalto ma, con una grossa novità che già gira da tempo nell'aria e che nessuno conferma per paura che il nemico possa capire le nostre intenzioni. E' stata scavata una galleria fin sotto la cima ed è stata riempita di esplosivo per stanare gli austriaci e conquistare finalmente la vetta dopo quasi un anno di combattimenti. Alle 9 di sera i riflettori illuminano la zona e fanno capire ai soldati nemici che sta per avvenire l'attacco (hanno già capito che sotto di loro c'è una bomba pronta ad esplodere ma devono mantenere le loro posizioni fino a nuovo ordine). Alle 11,30 la mina viene fatta brillare e vedo un vulcano di terra, corpi, sassi che esplode nella notte seguito poi da un silenzio rotto solo dai pochi ancora in vita che chiedono aiuto. I nostri soldati non si fidano ancora perché, dopo mesi di combattimento e con la vista ancora dei corpi dei compagni, non si fidano di assaltare direttamente la cima pertanto l'assalto è condotto con estrema cautela, gettando continuamente bombe a mano e con la copertura dell'artiglieria leggera.
Dalla cima, ormai non più tale, ma piuttosto sostituita da un nuovo cratere, come se un vulcano si fosse improvvisamente trasferito, non si sente nessun rumore e ci viene quindi ordinato di raggiungerla.
La mina ha creato una trincea naturale che ci permette di riparaci e di puntare le mitragliatrici verso il Sief dove le truppe austriache si sono ritirate ed hanno già ricominciato a sparare. Mi ricavo uno spazio per appoggiare il mio fucile spostando i resti di un soldato austriaco che affiora dal bordo del terreno, se ci sarà tempo lo getteremo oltre il bordo prima che inizi a puzzare ma per il momento può rimanere lì.
Sono solo un soldato semplice che però ha già partecipato a diverse battaglie, ma, guardando oltre il bordo della trincea, mi domando come faremo a conquistare quella cima se l'unico passaggio è una cresta dove ci può passare un solo uomo alla volta e mi chiedo a cosa serva restare su questa vetta dal momento che senza il possesso della cima che ci sta di fronte non possiamo neanche avvicinarci al Sas de Stria. Credo comunque che i nostri comandanti abbiano dei piani precisi talmente complessi che da povero alpino non posso nemmeno capire .
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Le due parti in guerra hanno lasciato sul campo 18.000 corpi in uno scontro durato un anno e mezzo che entrambi i comandi militari hanno definito un commovente episodio ricco di valore da parte dei singoli soldati, ma assolutamente inutile dal punto di vista militare proprio perché solo il possesso di entrambe le cime poteva dare il controllo del settore.


Pensiamoci quando vediamo una via cittadina dedicata al Col di Lana.