"Il Vescovo, l'Eelefante e l'Ago

 

di Ivan Da Rios e Gabriele Paladin - CAI Conegliano 2008

 

Quella proboscide nel 2005, quel chiodo di Livanos detto il Greco, segno inequivocabile della partenza di una via il cui nome e le poche ripetizioni (con anche qualche vittima illustre…) erano tutte un programma.


Mi viene naturale innamorarmi dei luoghi più solitari o forse dovrei dire... meno trafficati... delle nostre splendide Dolomiti. Sono luoghi che permettono di frequentare la montagna nel modo che ritengo più... vero… di entrare dentro, di poterne essere parte integrante, viva e palpitante, oltre che una maniera alquanto singolare per uscire da una vita stereotipata, stressante, e ripetitiva come quella dell’impiegato, immergendomi anima e corpo nella mia passione, l’Alpinismo.
 

Ho fatto anche dell’alpinismo solitario, ma è stato solo un passaggio della mia crescita interiore e tecnica. Quei momenti vissuti così intensamente e quei passaggi tanto spettacolari quanto a volte insidiosi, mi hanno indotto a rendere partecipi della mia gioia anche altre persone, a volte grandi amici, a volte piccoli allievi in crescita, e ad abbandonare quello che era stato il mio momento “eremitico” per condividere con qualcuno quelle sensazioni così a fondo respirate.
 

Gabriele è una di queste persone, speciali nel loro modo di essere e di vivere la montagna nei suoi aspetti più reconditi… veri. Di immergersi in un mondo fantastico con la parte del nostro Io bambino per poter gustare appieno tutte le possibilità offerte con occhi e cuore diversi.
 

Ogni tanto… sarebbe bello più spesso… ci ritroviamo in Sede a S.Polo e chissà perché, l’idea è la stessa, magari non il luogo, ma il modo, l’ambiente, e sopratutto… i dislivelli… sempre al top… cioè più di quello non si potrebbe fare… perché non ce n’è più…
Nonostante tutto e “tutte”, noi irregolarmente almeno una volta all’anno partiamo con destinazione non ben definita, relazioni rigorosamente “di massima” alla mano, "ben paradi" sciarpa e guanti, per dedicarci alla nostra passione più recondita, alla cosa che ci piace mettere al “secondo” posto nella nostra vita per piacere e dedizione (la prima non ve la dico): metterci nei casini per poi riuscire a trovare il modo di uscirne.
In fin dei conti è quello che hanno sempre fatto gli “Alpinisti” in tanti anni di attività in giro per i monti. Scoprire e tentare di salire dapprima la via più semplice, passando poi via via col trascorrere del tempo (si chiama senilità…) a quanto di più difficile lo stesso Monte possa offrire per complicarsi il modo di tornare a casa.
Non saprei dirvi se le nostre scelte sono sinora cadute su monti “semplici”, o se siamo solo fortunati, fatto certo è che se siamo arrivati sino a qui con il nostro fagottino di “esperienze alpinistiche” (non parliamo di gradi per non scendere in tecnicismi troppo scontati), lo dobbiamo a questi percorsi che ci hanno lasciato e continuano a lasciarci delle competenze tecniche ed una conoscenza particolare di questi luoghi così presenti nel nostro inconscio, ma pochissimo frequentati e vissuti.
… La discussione sul dove era stata come al solito lunga, ma le situazioni familiari contingenti ci avevano “costretto” a scendere a patti e … oramai la scelta era fatta.
 

Le foto viste l’anno prima sulle salite alpinistiche effettuate da alcuni amici sul Campanile di Brabante, sul Bocia della XLIII Legione Alpina Piave e sulla Guglia Rudatis, mi avevano già convinto ancora prima di partire e poi il libro di Visentini con le foto del luogo, e quel piccolo libretto di Fontanive, rispuntato per chissà quale caso fortuito dalla mia sempre più stracolma libreria, che riprendeva la traversata completa del gruppo ('ché di gruppo si parla) dei Cantoni di Pelsa ci diede la spinta finale.
Ovviamente la partenza… sofferta... per gli orari che gli alpinisti non sono in grado di rispettare mai… deve essere un retaggio antico inserito nel DNA dai nostri avi che vivevano questi momenti lasciando dare il ritmo alle giornate e non agli orologi… tardi la sera... e... presto alla mattina…
 

La strada è il preludio, il volante gira da solo tanto sono incondizionati i riflessi, i nostri scarponi sanno già tutto, e spiano sornioni dal bagagliaio la rinascita del disco solare, inizio di una giornata che sarà lunga, intensa, senz’altro piacevole, ed alpinisticamente parlando... “goduriosa”...
 

Il pensiero torna spesso a quel 2005 che ci ha visto, nel 75° anniversario del Rif. Vazzoler,  salire la normale alla Cima dell’Elefante (via Videsott – Rudatis 15/08/1930), snobbando per una volta le frequentatissime vie in Torre Venezia, splendide e relazionate abbondantemente sulle riviste del settore, vie che hanno fatto storia e che fanno tuttora crescere generazioni di alpinisti in “erba”. La via, di per se tecnicamente facile, ci introdusse nel regno nascosto delle Guglie fantastiche dei Cantoni di Pelsa, portandoci dapprima ai piedi della proboscide dell’elefante e regalandoci poi una giornata in splendida compagnia di fate, gnomi birichini, scorci fantastici, ed un tentativo di salita per via nuova (è più forte di noi) per collegarci alle “normali” di discesa della parte settentrionale di questo splendido luogo.
 

A dire il vero, la mia prima via a tiri alterni in questi luoghi e precisamente sulla Da Roit e compagni alla Punta Agordo data 16 Luglio 1995, ed assieme a Marika, oltre ad introdurci tra gli “alpinisti” del tempo, con il suo diedro levigato e una discesa laboriosa ma divertente, ci aveva lasciato in mente una serie di guglie e pinnacoli non meglio definiti, nè come nomi, nè come forme, con un arco di roccia che nei miei sogni era diventata la porta d’entrata per un mondo fantastico.
 

Ho letto tantissime volte, tutti quei nomi di guglie, aghi, torri, punte, forcelle, campanili e valli, dai nomi così fantasiosi da richiamare in automatico alla mente delle storie da approfondire, da raccontare e perché no da vivere.
La fantasia vola ancora di più quando, vivendo questa avventura con un grande amico sempre documentato con nomi, date, salitori storici, passaggi particolari, si unisce la salita ed il percorso fatto al piacere di sentirsi “Ciceronati” sul passaggio con “instabili roccette” o obliquando per cenge varie “senza via obbligata” alla ricerca di quel passaggio che… non può che essere quello… (eh ciò...).
 

Ora non voglio tediare la vostra sete di sapere con l’inutile sequela di cime salite o più semplicemente… fotografate… dei passaggi esposti superati, di quanto sporchi siano i passaggi più belli che un alpinista possa sognare (badate bene non ho detto “difficili”... ma “belli”…), per il contorno di ambiente, i colpi d’occhio sulle cime “famose” circostanti, la compagnia scanzonata e le battute che rendono meno duro un percorso da effettuarsi “unicamente” con tempo stabile e coscienza delle proprie capacità non tanto fisiche, quanto psicologiche, legate all’effettiva necessità di doversi arrangiare in ogni passaggio ed alla ricerca del sentiero che non c’è, tra “penitentes” di roccia che spuntano da ogni dove in modo apparentemente disorganizzato e caotico, in realtà splendidamente organizzato e conforme ad una logica “alpinistica” sicuramente d’altri tempi.
 

Un alpinista “vero” non tiene mai conto dei tempi impiegati in una salita, per non danneggiare l’apparente perfezione della salita stessa con inutili “tecnicismi”. Ci tengo comunque a ribadire che la traversata integrale dei Cantoni di Pelsa, con partenza dalla Forcella Di Pelsa ed arrivo alla Forcella Conegliano (abbiamo deciso di scendere verso la Val Civetta per uno dei tanti canaloni che riportano in qualche modo alla base delle pareti), partendo e rientrando a casa in meno di una giornata, impegna a fondo anche alpinisti esperti tecnicamente, fisicamente, e mentalmente, oltre a necessitare di qualche metro di fettucce sui posti strategici di calata o recupero, e a qualche sassata sugli stinchi immancabile per le ferite di guerra da far vedere al rientro (la famosa lotta coll’Alpe).
… Immagino che vi piacerebbe anche sapere alla fine se abbiamo o non abbiamo combinato qualcosa di quello che avevamo intenzione di fare ….
 

Il 18 marzo 2008 in Sede a Conegliano lo saprete; per il momento la digressione si ferma rimandandovi alla “puntata esplicativa” con immagini e filmati sulla traversata, commentati con qualche vuoto di memoria su nomi e tempi impiegati, assieme alla passione ed alla voglia di trasmettervi il modo di vivere la “nostra” montagna nei suoi aspetti più “veri”.