Ortles. Anche noi!

di Dario Facchin

E' una domenica di settembre quando partiamo per le sospirate ferie in Val Venosta, ma sotto un'acqua torrenziale. Nonostante le premesse e per la serie “la fortuna aiuta gli audaci”, quando lasciamo la macchina nella laterale Val Martello il tempo si è rimesso al bello e tale resterà per una settimana tanto limpida e stabile che esauriremo anzitempo i rullini di foto.
Prima meta il Cevedale. Saliamo in giornata al Rif. Martello passando per il Corsi e poi per la gran diga di pietra eretta a fine '800 per il contenimento delle piene. La notte passa discretamente (cioè bene per uno e male per me che soffro la quota già al castello di Conegliano) e la mattina ci avviamo per le desolate pietraie che portano al ghiacciaio della Forcola dove percorriamo una fascia di detriti al centro, accompagnati da preoccupanti boati e crepitii del ghiacciaio sottostante. Ci guardiamo nervosamente: "Beh, sarà normale?". Sul ghiaccio calziamo i ramponi e per superare una serie di piccoli crepacci trasversali cerchiamo invano le tracce dei tre simpatici tipi coi quali avevamo cenato, ma che, ben più mattinieri e allenati di noi, vediamo ormai in alto sulla cresta. Comunque non c'è neve che nasconda i buchi e un po' a casaccio arriviamo alla rampa finale di sfasciumi che porta alla forc. della Forcola a 3032 m, dove si apre il vasto panorama verso Sud. Da qui inizia la lunga cresta Est fatta di massi e detriti con brevi tratti su neve. Oltre metà cresta incontriamo già di ritorno i tre di cui sopra, uno dei quali porta uno strano cappellino di pizzo bianco. Ad un più attento esame si rivela essere un paio di mutandine (della moglie) che dice servano a ricordargli quali siano le priorità della vita: una specie di "guida con prudenza, pensa a me" che una volta si calamitava ai cruscotti delle 600.
Salutato l'allegro trio e rimessi i ramponi abbandoniamo le ultime rocce per salire una faticosa cresta nevosa che ci porta sulla ZufallSpitze, o Cima Cevedale, di poco più bassa della principale dalla quale è separata da 1 Km di cresta. Il panorama è grandioso e appare il vasto e candido bacino che si stende a Nord e che poi percorreremo in discesa verso il Rif. Casati. Dopo le foto di rito ridiscendiamo sui nostri passi e traversiamo a mezza costa ben sopra alcuni crepacci paurosi, per salire alla cima principale superando su un ponte di neve la crepaccia terminale. Il Cevedale (3769 m) è un po' meno "cima" della Zufall trattandosi di un lungo crestone nevoso pianeggiante. Dopo lunga sosta e indigestione di panorami scendiamo per l'altro versante che, dopo un solo breve tratto un po' ripido, presenta lunghi e dolci pendii nevosi, tratti dei quali li percorro con la tecnica della "scivolata su fondo schiena" che fa perdere quota velocemente e senza fatica.
Anche il Casati, in pratica, impone la mezza pensione a menù fisso comprensivo di dessert servito sul suo piattino e consistente in una mela ammaccata (sic!). Notte così così (3250 m) e la mattina ripartiamo con un'impressione negativa sulla gestione del rifugio per freddezza, prezzi e scarsa disponibilità non giustificata, visto lo scarso affollamento. Dal rifugio scendiamo un tratto con crepacci per poi risalire al passo e alla punta del Lago Gelato (3230 m) da dove ritorniamo al parcheggio. Siamo piuttosto cotti e ci mettiamo alla ricerca d'alloggio in valle finché troviamo una bella stanza nei pressi di Prato allo Stelvio.
Nei giorni successivi ci trasformiamo in turisti- tipo visitando la valle che è veramente molto bella. In particolare ci soffermiamo tra le mura della medievale Glorenza (una chicca), a Malles con la sua torre, alla bianchissima abbazia di Burgusio. Immancabile la puntatina ai laghi di Resia con l'originalissima foto del campanile che spunta dal lago (c'è sul 90% delle cartoline) e nella Val Senales che termina a Maso Corto (deludente, forse è meglio d'inverno). Rinunciamo al castello di Juval causa strada chiusa ai turisti (ma non a Hans Kammerlander che uno dei due giura di aver visto passare).
Certo alla sera non c'è una gran vita e il massimo del divertimento è assistere a Silandro all'esibizione della seriosa banda di Burgusio, oppure, dopo una serata di folleggiamenti fino ad ora tarda (verso le 21) casualmente assistere allo spettacolo di un'eclissi di luna molto suggestivo.
Ma mentre giriamo di qua e di là comincio a concepire una nuova idea. La mattina precedente al rientro con prudenza presento il progetto al compagno, che dopo qualche titubanza accetta di provare la salita all'Ortles, la più alta cima del Tirolo. In realtà, per ora l'idea è solo di raggiungere il Rif. Payer, poiché la cima sembra opporre difficoltà superiori alle nostre capacità ed esperienza. Dopo la mattinata in giro per Trafoi con religioso pellegrinaggio alla casa natale di San Gusthav Thoeni, lasciamo Solda con la seggiovia per il Rif. K2, da dove ci incamminiamo per facile sentiero verso il Rif. Tabaretta ignorando l'intimidatorio masso costellato dalle lapidi di decine d'alpinisti morti sull'Ortles ("Tanto noi faremo la normale"). Infine per tratti più ripidi e qualche passaggio attrezzato siamo al Payer. La posizione è splendida, proprio sul filo di cresta tra i dirupi ovest e la cupa e verticale parete Nord Est. Finalmente ci accoglie una gestione degna di tale nome. La signora è riservata ma gentilissima, il marito più loquace e altrettanto disponibile. La cucina è buona e permette pure di scegliere e, grazie anche al poco affollamento (è giovedì 18 settembre), l'atmosfera è accogliente e confortevole. Il tramonto colora d'ocra acceso tutte le rocce attorno e di un rosa carico il ghiacciaio sommitale dell'Ortles. Ci fa visita anche un elicottero dei carabinieri in volo d'esercitazione che, dopo aver scaricato qualcosa, si rituffa giù verso Solda.
Durante la cena notiamo l'arrivo della guida cui al Rif. Casati avevamo chiesto notizie dell'Ortles, capendo quasi nulla del suo perfetto italiano da altoatesino. Ormai abbiamo deciso di tentare la cima e tendiamo le orecchie per carpire più notizie possibili. Adotteremo la tecnica di "parassitismo alpinistico". Si parte dopo le 6 dal rifugio accodati a dignitosa distanza dalla guida di cui sopra e copiamo pedissequamente quanto fanno: la guida lega i clienti, noi ci leghiamo; si mette i ramponi, ci mettiamo i ramponi; la guida si gratta la testa, noi ci grattiamo la testa. Nonostante tutto la salita si rivela impegnativa soprattutto su alcuni tratti in roccia e su ripidi traversi su neve. Quando poi si tratta di oltrepassare bui abissi su ponti di neve vige la solita regola "se hanno retto per gli altri…" e incrociamo le dita. La fatica si fa sentire e anche il freddo. Scopriamo una difficoltà inedita nel diverso approccio di salita: uno infatti preferisce salire piano e continuo, l'altro run & stop. L'andatura media è simile, ma quando si è legati in cordata il risultato è un continuo tira e molla della corda. La parte finale della salita è molto facile, su abbacinanti plateau nevosi illuminati dalla luce radente del sole ancora basso. Con la calma che i 3900 m impongono arriviamo in vetta verso le 10. L'atmosfera è tersa e sotto un cielo cobalto lo spettacolo è grandioso: Cevedale, Gran Zebru, Forni… A differenza delle poche altre cordate che ridiscendono subito noi ci godiamo la cima quasi 2 ore. Scendiamo poi con attenzione facendoci sicura sul pezzo difficile di roccia e alle 14 ci concediamo una birrona al Payer. Ce la siamo meritata anche se ci rendiamo conto che il buon esito è dovuto alle condizioni perfette del percorso, prima completamente asciutto e pulito dal ghiaccio e poi ottimamente tracciato sul ghiacciaio. Il tempo bello e stabile ha fatto il resto.
Ci piacerebbe indugiare al rifugio a crogiolarci al sole, ma ci aspetta una lunga discesa a piedi e molti Km di auto per casa dove da domani devo trasformarmi in vendemmiatore. Perciò salutiamo i gestori e sotto un sole implacabile scendiamo con velocità sorpassando tranquilli turisti e lasciando tintinnare moschettoni e ramponi, atteggiandoci un po' ad alpinisti veri. Sfatti ma felici arriviamo al parcheggio dove, dopo aver dato qualche indicazione ad altri aspiranti Ortlesiani, partiamo per casa veramente soddisfatti di una gita in cui tutto è andato anche meglio delle più rosee previsioni. Ogni tanto un po' di fortuna ci vuole.