Il "mio" Vazzoler
di Nino De Marchi - CAI Conegliano 2004
Era il mese di luglio 1929 e mi
trovavo con mio fratello e, naturalmente, mia madre, nel bel paesino di Alleghe.
Andavamo spesso in barca sull’invitante lago, ma lo sguardo era sempre rivolto
in alto, verso quella meravigliosa parete che incombeva sopra di noi.
Con mia madre, grande appassionata di montagna, avevamo spesso superato quell’aspro
zoccolo che separa Alleghe dalla parete del Civetta a volte anche superando
ostacoli che trovavamo seguendo il letto asciutto di qualche torrente. Ricordo
che, essendo ancora piccolo, mia madre mi assicurava in questi passaggi con una
lunga sciarpa di lana, che non avevo mai capito perchè fosse così lunga, ma
indubbiamente lei ne aveva preventivato l’uso. Non eravamo però mai giunti alla
base di quella tanto ammirata parete, ma un giorno arrivò lo zio Eros, fratello
più giovane di mia madre, e con lui ed alcune altre persone conosciute ad
Alleghe, percorrendo un sentiero ripido, ma privo di passaggi da superare con
sciarpe od altro, giungemmo finalmente in Val Civetta..
Trovarmi sotto, quasi a contatto, di quel muro di roccia alto più di mille metri
mi fece rimanere vari minuti quasi trasognato. Attraversammo diversi nevai con
notevole spessore e, proseguendo verso sud, passammo sotto alla Torre Venezia
che, come un fantastico gendarme, difende a Sud l’intera parete Nord Ovest.
Subito dopo entrammo nel bosco e, all’improvviso, sulla destra, un po’ nascosto
tra gli abeti, ci apparve il Rif. Vazzoler. Era stato inaugurato pochi giorni
prima - precisamente il 30 giugno - e sapevo cha apparteneva al CAI di
Conegliano, la cui sezione era stata fondata nel 1925 e mio padre era stato uno
dei soci fondatori. Pur avendo solo nove anni, ricordo benissimo la meravigliosa
impressione che provai, soprattutto per la posizione, con di fronte la Torre
Trieste, altro fantastico gendarme che difende i contrafforti Est della Val dei
Cantoni, con subito dietro il Castello e la Cima della Busazza. Guardando un po’
a destra si scorgeva tutto il gruppo della Moiazza, con le sempre candide “nevere”.
Riguardando verso Nord fra le due torri, la Val dei Cantoni con a sinistra il
Bancon e la sua cima, la Cima delle Mede e poi la Cima dell’Elefante, un
paradiso di crode indimenticabile. Ed il Rifugio, con il suo stile particolare e
quel preingresso coperto che, quando piove, ti dà modo di sgocciolarti un po’
prima di entrare; e appena dentro, puoi subito bere un’”ombra” perchè il bancone
è lì che ti aspetta.
Ricordo che nella saletta da pranzo (non c’era ancora l’ala Spellanzon) c’era
una rotonda dove negli anni seguenti ebbi modo varie volte di godere il calore
del fuoco alla sera, intonando con gli amici vari canti di montagna o, con gli
occhi incantati ad osservare i guizzi della fiamma, pensare alle crode che
l’indomani sarei andato ad accarezzare. Oggi la vita scorre dentro ad un
continuo frastuono ed è per questo, forse, che non si sente più il desiderio di
cantare. In montagna, in fondo, si va anche per goderne i silenzi.