McKinley per Adriano!
Sulla montagna del grande freddo
Adriano Dal Cin intervistato da Diego Della Giustina - CAI Conegliano 2005
Adriano
Dal Cin mi scrive in e-mail dall'Alaska qualche giorno dopo la conclusione della
sua nuova salita:
"Il 25 maggio alle ore 16:30 sono giunto in vetta al McKinley (m. 6.194) con
Giuseppe Pompili. E' stata una giornata baciata dalla fortuna con un cielo terso
e poco vento. Del gruppo di otto componenti della spedizione solo noi due ci
siamo avventurati sugli ultimi 500 metri di cresta con neve ventata che ci
separavano dalla cima; gli altri si sono fermati sull'antecima.
La discesa e' stata un calvario per il forte vento e le nevicate che ci hanno
accompagnato fino al ritorno al campo di atterraggio degli aerei a Kahiltna
Glacier.
La
salita, considerando l’andata ed il ritorno, è stata compiuta in 12 giorni.
Adesso ci aspettano alcuni giorni di relax
e turismo e poi il 5 giugno si torna a casa." E’ una domenica sera e
decido di pubblicare subito la notizia sul nostro sito Internet, prima che il
lavoro mi impegni da domani per una nuova settimana. Recupero velocemente due
immagini della più alta vetta del continente nordamericano con una ricerca su
Internet e qualche nota sul programma della spedizione dal sito di Avventure nel
Mondo.
Ad un anno di distanza dalla felice conclusione della spedizione alla vetta dell’Everest e a due anni dal Cho Oyu, Adriano ha quindi inanellato un’altra prestigiosa cima alla sua serie di salite sulle vette ghiacciate del pianeta.
La cima del Mount
McKinley, detta anche Denali, trova la sua collocazione geografica in Alaska, il
più settentrionale tra gli stati degli USA, una regione con estensione pari a
cinque volte quella dell’Italia ma con una densità abitativa assai bassa, pari
ad un centesimo di quella italiana.
La catena montuosa dell’Alaska Range si estende poco al di sotto del Circolo Polare Artico e culmina con la vetta del Denali, letteralmente traducibile con “il più alto”, dalla lingua indigena Athabasca.
Le latitudini elevate e l’esposizione sul Mare di Bering e sull’Oceano Pacifico settentrionale fanno dell’Alaska una regione assai fredda, esposta alle correnti umide oceaniche che riversano sulle sue terre copiose nevicate e ne fanno una zona battuta anche dai forti venti artici. Nei lunghi e ghiacciati mesi invernali la regione rimane per gran parte del tempo al buio poiché la notte prevale nettamente sul giorno. Il turismo ed anche le spedizioni sul Denali si concentrano quindi nei mesi che vanno da maggio ad agosto.
Questa sera di agosto i miei figli Fabio e Fulvio accolgono in pigiama Adriano, uscendo sul maciapiede davanti a casa. Si è creata un’atmosfera di attesa particolare. Adriano viene a raccontarci la sua avventura e il piccolo Fulvio esce scalzo sul porfido umido di questo fresco e piovoso mese estivo, cercando curiosamente “Gabbiano”: lui lo chiama così. Fabio tira fuori carta e penna e gli dedica un disegno della salita all’Everest. Poi Adriano inizia a raccontare.
“La località che è il
punto di appoggio per la salita alla vetta è Talkeetna dove è necessario pagare
la tassa di ingresso al Denali National Park & Preserve e seguire le istruzioni
e ammonizioni dei ranger sulle modalità di svolgimento della spedizione. Ci sono
stati due morti sul Denali una settimana prima del nostro arrivo.” – prosegue
Adriano – “Ci hanno raccontato anche di un vicentino sconsiderato che si è
avventurato sulla montagna senza slitta e che ha rischiato grosso avendo
smarrito sul ghiacciaio il suo carico, non opportunamente segnalato con le
bandierine, sotto una abbondante nevicata.”
“Con l’ingresso al
parco abbiamo diritto ad una slitta e ad una tanica di benzina. I ranger ci
istruiscono poi sulle modalità con cui dovremmo effettuare la raccolta
differenziata ed anche i nostri bisogni fisiologici: fino al campo base ci
saranno delle bandierine indicatrici piantate sulla neve e poi dei crepacci
opportunamente predisposti. Oltre il campo base avremo a disposizione un
contenitore ermetico da riportare poi ai ranger a testimonianza di non aver
lasciato nulla sul posto…”
Quelle dell’Alaska
Range sono zone desolate e ricoperte di ghiacci, dove le condizioni atmosferiche
sono
sempre mutevoli, dove non si incontrano animali e tantomeno popolazioni
indigene. L’effetto windchill accresce la sensazione di freddo percepito
dall’organismo durante l’esposizione ai venti ghiacciati. Da quando il piccolo
aereo partito da Talkeetna tocca il suolo del ghiacciaio, dopo aver sorvolato
estesi e magnifici boschi di betulle, ci si deve legare sempre in cordata. Così
si procede fino al rientro, dopo la salita alla vetta. Questo accorgimento si
deve prendere anche se la stagione è agli inizi ed il ghiacciaio presenta ancora
i molti crepacci chiusi dalla abbondante neve invernale.
In soli 12 giorni la
loro spedizione ha raggiunto la cima del Denali ed è tornata al punto di
partenza. Si è
trattato di una salita veloce e tutto sommato favorita dalle
ottime condizioni meteorologiche del giorno determinante del raggiungimento
della cima. Chiedo quindi ad Adriano della possibilità di avvalersi di
previsioni meteorologiche affidabili durante la salita. Lui risponde: “I ranger
offrono un servizio del genere fino al campo base, con attendibilità buona su
tre giorni. Effettivamente è quel che basta per tentare la cima in una finestra
di tempo buono”.
“Sulla West Buttress,
lo sperone Ovest del Denali, eravamo tre distinte cordate e procedavamo assieme;
tuttavia eravamo in condizioni di essre praticamente autonomi. Io ero legato con
Giuseppe e Francesco. Mi sentivo particolarmente in forma, tanto da essere quasi
sempre in testa al gruppo”.
Giuseppe lo ha definito
un “cavallo di razza” nel suo resoconto della spedizione. Adriano prosegue:
“Sono consapevole di aver fatto meno fatica di altri. Mi sono allenato
addirittura più di un anno fa, in occasione della preparazione della salita
all’Everest. Negli ultimi tempi facevo ogni giorno, nel tardo pomeriggio, la
salita di 1.300 metri dalla
torre del lago del Restello fino al Pizzoc portando
zaini pesanti fino a 20 chili. Alcune volte poi, dalla vetta del Pizzoc
ridiscendevo per 500 metri e poi risalivo per poter arrivare a fare 1.800 metri
di dislivello in salita e discesa. Mi ero informato sulla necessità di
trasportare carichi pesanti per tre giorni, dal punto in cui il piccolo aereo ad
elica ci avrebbe lasciato, sul ghiacciaio Kahiltna, a 2.200 metri, fino al campo
base a 4.300 metri, poiché non ci sarebbe stato il supporto di animali da soma,
come per esempio succede con gli yak all’Everest. In questo tragitto si supera
una zona pericolosa, il Windy Corner, alla base dello sperone ovest”.
Nonostante oramai sia
consapevole della sua esperienza e della sua ottima condizione fisica, Adriano
racconta sempre con una buona dose di umiltà. Gli chiedo dell’uso degli sci sul
ghiacciaio e lui mi risponde: “Ne ho fatto a meno. Della mia cordata ero l’unico
ad usare le racchette da neve. Il fatto è che poco prima di partire durante
un’uscita di allenamento con gli sci ho avuto un incidente, rischiando di
compromettere la partecipazione alla spedizione. Nonostante l’uso delle
racchette da neve in discesa riuscivo a stare avanti agli altri”.
Mia moglie Franca lo
incalza con domande sull’acclimatamento. “Non ho avuto problemi del genere.” –
risponde lui – “Invece una delle tre guide che facevano parte della spedizione
che andava per la prima volta oltre i 4.800 metri del Monte Bianco, ha sofferto
per un principio di edema cerebrale. Piuttosto mi sono reso conto di aver
dormito assai poco a causa delle poche ore di oscurità che avevamo a
disposizione e di aver sofferto un po’ le conseguenze di oltre 17 ore di volo
dall’Italia”.
Ho letto del vano
tentativo di costruire gli igloo per la permanenza ai campi. “In effetti ci
siamo limitati a costruzioni più semplici.” – si spiega - “Era piuttosto facile
ricavare dei
blocchi di ghiaccio usando un seghetto che avevamo in dotazione
poiché, dopo uno strato mediano di neve ghiacciata, incontravamo di nuovo uno
strato più profondo di neve farinosa che consentiva un agevole sollevamento del
blocco. Costruivamo dei muri verticali in modo da essere riparati in tenda.
Anche per poter cucinare dovevamo fare in modo da costruire dei ripari efficaci
contro il vento e le bufere di neve. Spesso usavamo i tappi alle orecchie per
attutire il rumore del vento e poi, per dormire con un po’ di oscurità, usavamo
le mascherine sugli occhi”.
Come al solito Adriano
sorvola un po’ sulle difficoltà tecniche dell’itinerario che presenta pur sempre
pendii fino a 55 gradi tra il campo base ed il campo avanzato a 5.200 metri,
oltre ad un’aereo percorso di cresta tra antecima e cima vera e propria che
molte spedizioni evitano di percorrere. “Non posso dire che si tratti di una
salita di difficoltà paragonabile a quella dell’Everest, se non altro per la
quota ridotta ma sulla vetta la temperatura toccava i 30 gradi sotto zero. Io e
Giuseppe abbiamo utilizzato l’abbigliamentotecnico di un anno fa durante la
nostra felice avventura sul tetto del mondo. C’è da sottolineare che la durata
ridotta della spedizione rispetto a quelle sugli 8.000 fa si che le riserve di
energia non vengano messe a dura prova”. A meno di non dover affrontare bufere
di neve e una permanenza forzata più lunga aggiungiamo pure …
Adriano e Giuseppe
hanno raggiunto da soli il punto più alto della montagna in una magnifica
giornata
assolata che ha consentito loro di guardare i confini della terra dalle
finestre del cielo come si usa dire da quelle parti. E’ andata meglio rispetto
ad un anno fa quando la cima dell’Everest lo aveva accolto fra le le nuvole che
annunciavano l’imminente bufera.
Adriano continua il suo racconto: “Abbiamo raggiunto la vetta solo nel pomeriggio ma in quel caso non è un problema poiché durante il giorno ci sono ben 21 ore di luce e solo 3 ore di semioscurità. Il problema è che dopo un’ora di discesa le creste sono state spazzate da un forte vento ed il maltempo è sopraggiunto rapidamente accompagnandoci per il resto dell’itinerario”.
Mentre quest’anno
Giuseppe proseguirà verso il raggiungimento delle cime delle Seven Summit,
ovvero delle cime più alte dei sette continenti, Adriano confessa di non essere
interessato a questo obiettivo anche perché la cima più alta dell’Antartide, il
Mount Vinson, è costosissima e tutto sommato lui preferisce puntare a cime che
siano anche di suo gradimento.