La forcella Fontana Negra

di Giorgio Zambon

Come cittadini dell'Unione Europea ci risulta perfino ridicola la definizione di "linea di confine", ma, in un periodo di regni, alleanze e controalleanze, rivendicazioni, nazionalismi e questioni di principio a difesa "del sacro ed inviolabile territorio" quale era il 1914, risulta facilmente comprensibile come il mantenere o conquistare un solo metro di terra risultasse più importante della vita di centinaia di migliaia di giovani. 
Come appassionato di montagna e di storia non riesco più a percorrere un sentiero di montagna senza che alle immagini moderne dei cartelli colorati e degli escursionisti che pensano al rifugio accogliente posto a ristoro delle loro fatiche, si sovrappongano quelle delle letture di guerra.
Si parla degli stessi sentieri, quelli che noi percorriamo allegramente e che sono stati tracciati dai soldati per trasportare armi, munizioni, vettovaglie e per consentire l'avvicendamento delle truppe.
Nella maggior parte dei casi si tratta di storie di uomini stanchi, affamati ed in preda al panico che si avvicinavano di notte alla loro destinazione di prima linea sentendo già dalla valle i rumori della guerra che aveva già inghiottito i loro predecessori.
Noi oggi arriviamo in cima ad una forcella, presso un rifugio e vediamo muri, pezzi di legno o ferro, rotoli di catrame e poveri resti umani che rappresentano piccoli tasselli di un eterno monumento ai caduti della Grande Guerra senza alcuna distinzione di bandiera.

 

Rancio dei Kaiserscutzen. L'eterogeneo equipaggiamento dimostra le difficoltà di approvvigionamento dovute alla forte crisi dell'impero.

Molto spesso possiamo farci solo un'idea approssimativa (fatte salve le gallerie da mina o i luoghi di battaglie riportate su tutti i libri di storia), del fatto che in un luogo particolarmente segnato da queste tracce si sia combattuto maggiormente o con più accanimento rispetto ad altri luoghi, ma spesso passiamo per posti che hanno visto gesta degne di nota non menzionate in modo adeguato.
Alcuni di questi siti meritano di essere citati non solo per gli eventi legati ai grandi nomi della storia, ma anche per il sacrificio e l'eroismo dimostrato da semplici soldati che, indipendentemente dalla bandiera, combattevano per un ideale e nel rispetto del valore della parte avversa.
Il sentiero che dal Rifugio Pomedes porta al Giussani, è particolarmente spettacolare per la vista offerta dai tornanti che alternativamente si rivolgono verso il Passo Falzarego e verso la Tofana di Rozes.
Raggiunta la forcella e proseguendo verso il Giussani si incontra sulla destra il cippo dedicato al gen. Cantore, colpito a morte da un cecchino il 20 luglio del 1915 durante un sopralluogo alla Fontana Negra.
Era proprio la forcella Fontana Negra il luogo del contendere fra gli opposti eserciti : quello austriaco fermamente deciso a mantenere la postazione difensiva e quello italiano proteso alla conquista della stessa per proseguire in Val Travenanzes e quindi in Pusteria.
A difesa di quella che gli stessi soldati definivano "la pentola di streghe" era stato posto un plotone di appena 60 uomini, Jager prussiani sotto il comando del sottotenente Grosse.
La postazione consentiva avvicendamenti difficoltosi, costringendo i soldati a percorrere la Val Travenanzes seguendo un sentiero tortuoso sempre a ridosso di un gradino di roccia alto 200 metri.
In prossimità della postazione gli uomini si trovavano sotto il tiro diretto degli alpini che, 700 metri più sopra, sulle Tofane, continuavano un incessante fuoco con un duplice scopo: indebolire la resistenza degli austriaci fino al punto di consentire alle truppe alpine un attacco diretto da sud.
Il sottotenente Grosse conosceva perfettamente la situazione in cui si trovava. Situazione aggravata dalla scopertura da tre lati che non consentiva avvicendamenti o rinforzi: dovevano resistere con i soli armamenti e munizioni presenti al momento del loro insediamento.
All'alba del 20 luglio cominciò lo scambio dei primi colpi di cannone, raffiche di mitragliatrice e lancio di bombe a mano da parte degli alpini provocando la risposta austriaca che seppe tenere la posizione utilizzando il solo tiro dei cecchini dotati di fucili con cannocchiale.
Le montagne riflettevano l'eco degli alpini colpiti che cadevano lungo le pareti della Tofana. 
Dopo la seconda notte relativamente tranquilla, all'alba del 21 la zona era stranamente silenziosa, non si vedevano alpini affacciarsi dalle postazioni e questo voleva dire solo una cosa : si stavano preparando ad un attacco in massa.
In pochi minuti esplosero migliaia di colpi e dopo un momento di silenzio avanzarono gli italiani al grido di "Avanti! Savoia!".
Le munizioni risparmiate consentirono agli austriaci di respingere l'assalto mettendo a dura prova gli italiani che tentarono un secondo attacco nel pomeriggio anch'esso respinto ma che raggiunse lo scopo di ridurre al minimo le scorte di munizioni dei prussiani e di colpire il maggior numero possibile di soldati.
Ai caduti dei tre giorni di battaglia devono essere aggunti anche i soldati italiani appostati sulle cime che, nel tentativo di guadagnare una posizione di tiro più favorevole, venivano regolarmente colpiti dai cecchini e precipitavano inesorabilmente dai dirupi.
L'ultimo assalto alla postazione austriaca, effettuato la mattina del 22 luglio dopo tre giorni di battaglie, venne contrastato solamente da 16 uomini, con meno di 30 munizioni a testa, seguendo le ultime direttive del sottotenente Grosse che, ripetutamente ferito, non era più in grado di comandare la difesa della forcella.
Al termine l'avanzata degli alpini incontrò un fuoco praticamente inesistente seguito dal lancio di pietre come ultimo disperato tentativo di difesa.
Poi il silenzio.
Silenzio che gli italiani interpretarono come un tranello e che suggerì una avanzata guardinga.
Si udirono infine dei colpi sordi oltre i ripari: erano i prussiani che rompevano il calcio dei fucili per renderli inservibili e quindi arrendersi agli increduli italiani che si trovarono di fronte questi 16 soldati ognuno con almeno una ferita sanguinante.
I Sedici lasciarono la loro postazione fra gli alpini che, in rispetto del valore dimostrato, si disposero su due file salutandoli militarmente.
La forcella venne in seguito riconquistata dagli austriaci ed infine presa definitivamente dagli italiani che la tennero fino al 24 ottobre del 1917 (la rotta di Caporetto) sempre fra alterne vicende.
Ma la storia di quell'assalto dovrebbe essere ricordata insieme al gen. Cantore.