Il mio Cervino

 

di Tomaso Pizzorni - CAI Conegliano 2007

 

 

 

È l’ultima domenica d’agosto: sono appena arrivato a Valtournanche, paese della Valle d’Aosta nel quale da cinque anni trascorro le mie ferie.
La giornata è stupenda, c’è una leggera brezza da Nord, la pressione sale lentamente e la Catena delle Grandes Murailles si staglia nitida contro il cielo privo di nubi.
 

Ci sono le premesse per realizzare il sogno alpinistico di raggiungere la cima della piramide più bella delle Alpi.
 

Prendo possesso della camera nell’antico albergo “R…”, dove tutto è vetusto, direttrice compresa; la camera è arredata in uno stile compatibile con il secolo precedente, quando Whymper frequentava la vallata.
Sistemo le mie “cose” e vado subito alla ricerca dei soliti amici, desiderosi - lo spero - di venire con me sul Gran Paradiso, per fare un po’ di allenamento in quota. Trovo disponibilità in Giorgio e Marco, ben contenti di salire un “quattromila”; telefono poi al mio amico guida Giovanni per prenotare la salita al Cervino nei giorni successivi, a partire da giovedì. Apprendo dei suoi impegni già assunti, ma mi assicura la disponibilità del fratello Germain, pure lui guida. Fissiamo quindi la partenza per il giovedì successivo.
Lunedì mattina raggiungiamo in auto Aosta, proseguiamo per la Valsavaranche nel Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Saliamo, incontrando alpinisti e branchi di stambecchi, al Rifugio Vittorio Emanuele II, dove sono previsti cena e pernottamento.
Martedì mattina, percorrendo la via normale, arriviamo velocemente in vetta, accanto alla statua della Madonnina (m 4.061). Il paesaggio è meraviglioso, ma non ci attardiamo molto a contemplarlo; scendiamo velocemente (è un allenamento! ) al Rifugio e poi a fondo valle. Nel tardo pomeriggio siamo di ritorno a Valtournanche. Mercoledì, riposo.
 

Oggi, giovedì, è il gran giorno: fatti i necessari preparativi mi trovo con la guida al Breuil (Cervinia), dominata dalla catena delle Grandes Murailles, dal Dent d’Hérens, dal Cervino (o Gran Becca, o Matterhorn, ecc.).
Per guadagnare quota saliamo con il primo tronco della funivia sino alla stazione di Plan Maison (m 2.500). Qui ha inizio la salita che ci riserva, per oggi, un dislivello di oltre 1.300 metri, su percorso parzialmente “alpinistico” e impegnativo.
 

Raggiungiamo in poco più di un’ora il Rifugio Duca degli Abruzzi all’Oriondè, a m 2.804. Sopra di noi l’incombente parete Sud, con i suoi ghiacciai, delimitata dall’ impressionante Cresta Furggen e dalla Cresta del Leone.
Al rifugio mangiamo qualcosa e facciamo provvista di legna da portare alla capanna dove pernotteremo: si tratta di alcuni tronchetti “zainabili” (un paio di chili) che tutti gli alpinisti di buona volontà dovrebbero portare per il riscaldamento, lo scioglimento della neve e la cottura dei cibi.
 

Come noto le vie “classiche” al Cervino sono quattro: due coincidono praticamente con la linea di confine Italo –Svizzero (via Italiana o della Testa del Leone e via Furggen), le altre due si sviluppano interamente in territorio elvetico (Cresta dell’Hornly, la più facile delle quattro, e la Z’mutt).
Iniziamo a salire lungo la via italiana, dalla parte dove è passata la prima cordata valdostana condotta dalla guida Jean Antoine Carrel, dal 16 al 18 luglio del 1865.

 

Whymper, bruciando i tempi e gli italiani, aveva raggiunto la vetta due giorni prima, lungo la via Svizzera. Tutti ricordano la tragedia e le polemiche che ne seguirono: di sette alpinisti inglesi e guide svizzere partiti, solo tre rientrarono vivi a Zermatt. Di qualcuno si persero le tracce.
Notiamo su una parete la croce che ricorda la guida italiana Carrel, detto il Bersagliere, che qui, molti anni dopo, di ritorno dalla cima, morì di sfinimento dopo aver portato in salvo la sua cordata.
 

Proseguiamo, favoriti dalla presenza di alcuni arpioni e corde fisse, raggiungendo il diedro denominato la “Cheminée”, alto una dozzina di metri e provvisto di una grossa corda di canapa collocata per facilitare la faticosa salita; altri tratti di corda aiutano a raggiungere il Rifugio Luigi Amedeo di Savoia al Colle del Leone: finalmente!
 

Ora abbiamo tutto il tempo per guardarci attorno e per organizzare la meritata sosta, la cena “luculliana” che ci attende (minestra in busta Knorr) e il sonno ristoratore alla bella quota di m 3.840.
Da questo belvedere ammiriamo i ghiacciai della parete nord del Dent d’Hérens, con la luce del tramonto, il ghiacciaio di Z’mutt, la conca del Breuil, già deturpata dai condomìni del miracolo economico. Pensiero cattivo: ma una bella diga, con un grande lago, non migliorerebbe il paesaggio?
 

La notte, trascorsa nella modesta capanna costruita dalle Guide del Cervino nei primi anni del 1.900, non è delle migliori. Sarà per il tavolato decisamente scomodo, sarà per la presenza di tanti ”russatori” (una dozzina tra guide e clienti di varie nazionalità), sarà perché non sono ancora assuefatto all’alta quota, sarà per tutto questo e per altro che non riesco a prender sonno. Inoltre sono sicuramente agitato in previsione del tanto atteso evento alpinistico.
 

Sono circa le quattro del mattino: finalmente si parte! Tutti allineati e “coperti” (anche per l’aria a dir poco frizzantina) in attesa di superare la strapiombante parete sotto la “Gran Torre”, mediante la “corda della sveglia”. Il nome è tutto un programma e ben si adatta all’ora ed alla situazione.
Le membra, le articolazioni, i muscoli sono intorpiditi dal freddo e dalla inattività. Ma l’alba è prossima, le previsioni meteorologiche sono buone e tutto procede bene.
Superato questo primo ostacolo ecco alcuni tratti un po’ ghiacciati (siamo ormai oltre i 4.000) che precedono una cresta. Affrontiamo il “Linceul”, piccola placca di neve che richiede prudenza.
 

Eccoci ora alla “Gran Corda” o “Corda Tyndall” collocata per rendere possibile ai comuni mortali il superamento di una parete verticale. Qui ci vorrebbe tanta forza di braccia…che non c’è. Seguono altri punti di rilievo legati a eventi o nomi famosi: la “Cravate”, il “Pic Tyndall” con relativa cresta, ecc….
 

La salita è piacevole e prosegue ora senza particolari difficoltà; sono in buona forma e abbastanza preparato fisicamente avendo svolto una costante attività escursionistica nell’Appennino.
 

Ormai è giorno e lo scenario circostante è illuminato dalla luce proveniente da est. C’è anche tempo per osservare e ammirare le Alpi Pennine.
 

Utilizzando altre attrezzature fisse, a volte apparentemente non necessarie, ma indispensabili invece per cavarsi dai guai in presenza di situazioni precarie (neve, gelo, bufera) arriviamo alla nota “Scala Jordan”. Questa scala in corda permette di superare uno strapiombo di 10/12 m che si affronta salendo i primi gradini dall’interno (ossia tra la scala e la parete) per evitare lo sbilanciamento all’indietro, cioè verso il vuoto.
Qui la guida consiglia di lasciare tutto quanto non sia strettamente necessario, anche per alleggerire il pesante zaino: deposito solo piccozza e ramponi in quanto non più utili per mancanza di neve.
Ancora altre placche, corde fisse, paretine che si superano agevolmente.
 

Finalmente raggiungiamo la cresta sommitale: è fatta! Siamo ai 4478m della più bella montagna delle Alpi: il CERVINO.
 

Sono le 8.00 del mattino del 31 Agosto del 1961; il tempo è splendido, la visibilità è ottima, non c’è vento e non fa assolutamente freddo. Cosa si può volere di più?
 

La guida si congratula (fa parte del loro stile) anche se non mi pare di aver compiuto un’impresa “difficile”. Nelle odierne condizioni, con le numerose attrezzature fisse, la salita per la “via italiana” è da considerare un 3°grado.
L’emozione è forte, direi anzi di essere commosso: lo spettacolo che si coglie, veramente a 360°, è di una bellezza unica. Nella relativamente piccola area Svizzera visibile, oltre il confine nord dell’Italia, sono posizionati almeno una trentina di “4.000”.
 

A questo punto non resta che ringraziare “chi ha fatto Cielo e Terra”; evidentemente, quel giorno, doveva essere in gran forma!
Di prammatica è la foto presso la croce che riporta, in latino, il nome delle due valli: a nord PRATUMBORNO (per Zermatt), a sud VALLISTORNENCHIE (per Valtournanche).
 

Sotto di noi le quattro famose pareti: la Nord, la Sud, la Est e la Ovest separate dalle altrettanto note creste dell’Hornly, del Fürggen, del Leone e di Z’Mutt e tanti ghiacciai molto crepacciati.
 

Scatto alcune diapositive, giro qualche metro di pellicola 8 mm (con la pesante cinepresa a tre obiettivi, carica a molla), osservo con il binocolo verso il M. Bianco, il Gran Paradiso, M. Rosa, i Mischabel ecc.
Insomma “mi lustro la vista”, cosa che non capita tutti i giorni.
 

Ma il tempo passa in fretta, occorre tornare…con i piedi per terra, affrontando la discesa, meno faticosa della salita, ma pur sempre delicata e lunga. Sono infatti 2.500 metri di dislivello, costellati di croci e targhe posti a ricordo di alpinisti che l’ultima, e forse unica loro salita, al Cervino non l’hanno potuta raccontare.
In particolare ricordo questa scritta: ”Qui, per la rottura della gran corda, cadde Otto Furrer guida di Zermatt” .
 

Al Rifugio Oriondè mi scolo, come si suol dire, una birra che l’amico guida corregge con un bicchierino di rum. Dice che è il massimo!
Grazie Ottin, alla prossima!

Nota: negli anni successivi ho potuto realizzare altre numerose e belle salite sui “4.000” delle Alpi, talune più impegnative e difficili, ma nessuna eguaglia il Cervino.