La misteriosa morte del Generale Cantore
di Livio Lupi
Prendo spunto dall’articolo sulla Forcella Negra apparso sull’ultimo numero di Montagna Insieme per riproporre un dubbio storico che avvolge la morte del Gen. Cantore.
Premetto che questo dubbio è destinato a rimanere tale, ma aiuta a capire meglio un paio di cose: la storia è un complesso mosaico costituito da un numero infinito di piccole tessere, ognuna delle quali rappresenta un fatto magari insignificante, ma parte integrante del quadro generale; non bisogna prendere sempre per oro colato tutto ciò che leggiamo, studiamo, ci viene detto, semplicemente perché ci possono essere molte “verità”.
Malgrado saranno presto passati 90 anni dall’inizio della Grande Guerra, se ne parla ancora molto, ci sono iniziative storico-culturali e commemorative più che in passato, e di tanto in tanto affiorano nuove “verità”, alle volte supportate da testimonianze verbali, altre volte scritte.
Torniamo
a noi: nell’articolo in questione si legge … cippo dedicato al Gen.
Cantore, colpito a morte da un cecchino il 20 luglio del 1915 durante un
sopralluogo …
Il dubbio riguarda il cecchino. Sembra che a sparare non sia stato il nemico, ma un cortinese, attribuendo così alla morte del nostro generale una valenza assai diversa da quella conferitale dalla Storia. Questa considerazione porta inevitabilmente ad un altro quesito: cosa deve aver fatto quest’uomo per farsi odiare dai suoi soldati al punto di indurre uno di questi a sparargli (con tutte le conseguenze del caso)? Era forse vera la sua fama di esagerata durezza e temerarietà?
A tale proposito riporto una lettera apparsa sul Gazzettino del 12 agosto 1998
Sulla
vicenda del generale Cantore, abbiamo ricevuto una lettera di Francesco
Gregnanin, di Padova, nella quale si legge fra l'altro che l'alto ufficiale «fu
fatto fuori dal capo dei vigili urbani di Cortina con un Mauser "Swedish"
mod. 1896 e con cartuccia 6.5x55 senza cannocchiale. Riporto quanto mi disse
personalmente un signore di Borca di Cadore di cognome Sala e del cui figlio
Attilio ero fraterno amico. Nel frangente indicato, mi disse anche nome cognome
e soprannome di questo cortinese» (erano amici e andavano a caccia insieme).
«Ovviamente,
trattandosi di colloquio avvenuto nel 1955 (ero a Borca a lavorare nel cantiere
Agip), non potrei essere più preciso nei nomi. Aggiungo che il fatto mi fu
confermato da un nipote dello "sparatore", falegname nel mio cantiere».
Una considerazione ulteriore, si legge nella lettera, va tratta da un «passaggio»
dell'articolo del Gazzettino di ieri: «colpo sparato da un ufficiale italiano».
Il
che fa dire al lettore:-
«eccepisco
che il piccolo calibro sarebbe attribuibile ad una pistolotto 6.35 la cui
potenza non avrebbe consentito di trapassare il cranio del malcapitato. Infine,
mi piacerebbe sapere se nella mostra di Cortina sulla Grande Guerra si faccia
menzione della "cittadinanza cortinese" dell'uccisore del Cantore.
Sarebbe pura ipocrisia ignorare il sentimento fortemente "austriacante"
(legittimo del resto) da sempre albergato oltre Dogana Vecchia. Questo
sentimento era stigmatizzato da quei "vecchi" di Borca coi quali mi
onoro di avere lavorato e vissuto per anni».
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