Adriano Dal Cin e il Nanga Parbat

 La "Montagna Nuda" - 8.125 m

11 giugno - 26 luglio 2009 - Lungo la via Kinshofer

Con il patrocinio della Sezione di Conegliano del Club Alpino Italiano

 

Per seguire giorno dopo giorno la spedizione: il blog di Giuseppe Pompili

 

Vista versante Diamir

 Il Nanga Parbat è fra le più ambite montagne himalayane. Il suo nome in lingua Urdu significa “la montagna nuda” per via delle pareti di roccia troppo ripide per essere ricoperte dalla neve. E’ anche chiamato Diamir, ovvero “Re delle Montagne”, dal nome di uno dei suoi versanti

Si erge come un gigantesco monolito, una sentinella posta all’estremità occidentale della catena himalayana, separata dalla catena del Karakorum a nord e a est dal fiume Indo, che ha scavato una profonda gola intorno alla montagna, proprio come ha fatto il Bramaputra intorno al Namche Barwa, più di 2000 km a est.

Questo significa che l’ascensione al Nanga Parbat dai suoi vari campi base presenta un dislivello di oltre 4000 m, molto maggiore, per esempio, di quello che separa la cima dell’Everest dalla sua base di Rongbuk.

Inoltre, poichè la latitudine del Nanga Parbat è molto più a nord, il clima è più freddo, nevica di più e le tempeste sono più violente, anche se è minore l’effetto monsonico nei mesi più caldi di luglio e agosto.

 

Il Nanga Parbat fu tentato la prima volta nel 1895 da una squadra di alpinisti inglesi guidata da Fred Mummery; del gruppo faceva parte anche l’ufficiale gurka Charles Bruce, che in seguito avrebbe guidato il primo tentativo all’Everest. Mummery e il gurkha Raghobir Thapa raggiunsero circa i 7000 m, scalando uono sperone roccioso al centro della parete Diamir: una notevole impresa in stile alpino, che precorreva di molto i tempi.

Settantacinque anni dopo, il giovane Rienhold Messner sarebbe sceso con il fratello Gùnther per lo stesso percorso, in una disperata ritirata dopo aver scalato la montagna per la parete Rupal.

Mummery e i due gurkha morirono lo stesso anno nel corso di una spedizione, nel tentativo di trovare una via intorno al ghiacciaio Rakhiot  e compiere una ricognizione su quel lato della montagna.

Furono le prime delle trentuno vittime del Nanga Parbat prima che questo fosse infine conquistato, nel 1953.

Dopo la prima esplorazione di Mummery, il Nanga Parbat divenne monopolio dell’alpinismo tedesco. Negli anni renta, cinque spedizioni posero l’assedio al versante Rakhiot, sul lato nord della motagna, e un’altra alla parete Diamir.

 

Nel 1932, sotto la guida di Willy Merkl, venne individuato un itinerario logico per i futuri tentativi sul lato Rakhiot: dopo aver superato il Rakhiot Peak, si raggiungeva la cresta est, a 6950 m. Nel 1934, sempre sotto la guida di Merkl. L’itinerario venne ulteriormente prolungato, arrivando fino alla Sella d’Argento, a  7451 m. In realtà, Peter Aschenbrenner ed Erwin Schneider, slegati, proseguirono per l’altopiano e raggiunsero quota 7700 m prima di ritornare al campo, sulla sella. Poi infuriò una tempesta su Nanga Parbat, che sorprese Merkl, Aschenbrenner, Schneider, Welzenbach, Wieland e undici portatori accampati sul colle.  Era impossibile continuare. Gli alpinisti tentarono di scendere in due gruppi. Su sedici che erano, nove perirono; fradi loro c’erano Wieland, Welzenbach e Merkl, il capospedizione.

 

Tre anni dopo, altri sedici uomini scomparvero sulla montagna quando un’imponente valanga seppellì il campo 4  sulla parete Rakhiot, a 6200 m. Il capospedizione, Paul Bauer, un veterano del Siniolchu e del Kangchenjunga, ritornò al Nanga Parbat nel 1938 per fare un nuovo tentativo; tuttavia, non riuscì a raggiungere un punto più alto, soprattutto a causa del maltempo. Nel 1939, una squadra guidata da Peter Aufschnaiter spostò l’attenzione sulla parete Diamir e raggiunse quota 6000 sulla costola rocciosa posta sulla sinistra dello sperone scalato da Mummery.

 

I tedeschi non pensaraono più al Nanga Parbat fino al 1953, quando finalmente una spedizione austro-tedesca conquistò l’agognata vetta. I capi di questa spedizione, Karl Herrligkoffer e Peter Aschenbrenner, avevano deciso di abbandonare la partita e ordinarono ai quattro scalatori al campo 3, a circa quota 6100, di scendere. Gli uomini però non seguirono gli ordini e salirono al campo 4  il 1° luglio; il giorno seguente, Hermann Buhl e Otto Kempter raggiunsero il campo 5. La mattina del 3 luglio, dopo una notte tempestosa, Bhul partì di buon’ora, seguito qualche ora dopo da Kempter. Quest’ultimo raggiunse la Sella d’Argento prima di tornare al campo 5. Bhul arrivò invece in vetta, dopo diciassette ore di disperata arrampicata carponi, e durante il ritorno sopravvisse a un bivacco all’addiaccio, passando tutta la notte in piedi e con abiti leggeri. Fu una prodezza ineguagliabile, come quella che venne compiuta sull’Everest lo stesso anno, o sull’Annapurna tre anni prima. Bhul non usò l’ossigeno nel suo tentativo finale, e si spinse ben al dilà dei normali limiti umani. Fu il suo massimo momento di gloria, il coronamento di una vita.

 

La via Rakhiot del 1953 che porta alla vetta del Nanga Parbat è difficile e molto pericolosa a causa delle valanghe, come dimostrò la schiagura del 1936. Benchè sia stata ripetuta, oggi la maggior parte delle squadre tenta il gigantesco dirupo Rupal o il percorso della seconda salita, l’itinerario Kinshofer, sulla parete Diamir.

 

Toni Kinshofer fece nel 1961 la prima scensione invernale della parete Nord dell’Eiger; nello stasso anno, prese parte alla spedizione ricognitiva guidata da Herrligkoffer alla parete Diamir. Gli scalatori concetrarono i loro sforzi su un canalone posto fra le costole Aufschnaiter e Mummery, e riuscirono a scalare la parete fino  all’altopiano (sella Bazhin) situato sotto il camplesso sommitale, a 7100 m. La squadra ritornò l’anno seguente, questa volta installando un argano sulla cima del canalone iniziale. Kinshofer, Lòw e Maanhardt facevano parte del gruppo di scalatori che raggiunsero nuovamente la sella Bazhin. Questa volta, però, essi continuarono fino a collegarsi con l’itinerario Bhul alla forcella Bazhin, a 7821 m, e poi seguirono la cresta fino in vetta.

Le principali difficoltà della loro ascensione le trovarono nella sezione superiore, sulla cresta sommitale; nel 1978 queste furono ampiamente evitate dalla piccola squadra austriaca che ripetè l’itinerario Kinshofer. Invece di collegarsi alla via Bhul sopra la forcella Bazhin, gli austriaci traversarono la sella Bazhin verso destra, sotto la cima, e salirono direttamente in vetta.

Da allora è diventato l’itinerario preferito di salita al Nanga Parbat da nord.

 

Sul versante meridionale la via più rapida è quella percorsa nel 1976 dai quattro uomini del gruppo di Hans Schell: la cresta posta sulla sinistra della parete Rupal che conduce alla forcella Mazebo, a 6940 m, e da qui alla cresta sud-ovest e in vetta. E’ leggermente meno diretta della versione attuale dell’itinerario Kinshofer, e più difficile nella sezione superiore della cresta. Nonostante ciò, è stata ripetuta molte volte.

 

Per salire sulla parete Rupal ci sono altri due itinerari, entrambi diretti e molto ardui.

La spedizione di Herrligkoffer, del 1970, scelse la via diretta (tuttora non ripetuta); in quell’occasione, Felix Kuen, Peter Schlz e i fratelli Messner raggiunsero la vetta.

Il pilastro sud-est venne scalato da una spedizione polacca nel 1985, seguendo approssimamente il percorso di Ueli Bùhler quando, nel 1982, raggiunse la vetta sud (8042 m), nel corso di un’altra spedizione organizzata da Herrligkoffer. Infine va citato un altro itinerario. Nel 1970 durante la disperata e imprevista discesa dalla parete Diamir, Reinold Messner perse il fratello. Ritornò poi due volte sulla parete e infine, nel 1978, la scalò in solitaria per una nuova via sulla destra. Per Messner questa catartica, prima ascensione in solitaria di un Ottomila fu più importante della sua scalata dell’Everest senza ossigeno, di due mesi prima. Si trattò di una pietra miliare nella storia himalayana, ma l’itinerario è pericoloso, per cui noi abbiamo optato per la via Kinshofer.

 

 

Itinerario

Il posto migliore per il campo base è sulla sponda destra del ghiacciaio Diamir, a 4250 m, a tre giorni di marcia dall’ultimo centro abitato, Bunar, nella valle dell’Indo. La scalata comincia con un ripido canalone nevoso, coronato a 5900 m da un gradino roccioso verticale di 60 m, da attrezzare con corde fisse. Dopo di ciò, un terreno misto conduce alla parete anteriore di un contrafforte, la cui cima è a 6150 m. Una traversa, che si eleva verso sinistra su neve e ghiaccio, è seguita a destra da un grande diedro longitudinale che supera rocce e seracchi (6800 m) fino ad arrivare alle ripide pendici della sella Bazhin.

La via Kinshofer sale lungo il canalone nevoso al centro

 

Qui l’alpinista si trova davanti a due logiche alternative. Salendo la sinistra della cima, si può prendere l’itinerario Buhl sotto la vetta secondaria, a 7910 m, e poi seguire la cresta verso sud, raggiungere la Spalla (8070 m) e infine la vetta. E’ molto più semplice però attraversare la sella e arrivare agli ampi e ripidi pendii nevosi che conducono al complesso sommitale. Questi cedono il passo a un terreno misto e accidentato, evitabile percorrendo un ampi canale innevato, che porta diritto alla vetta. Dalla vetta del Nanga Parbat è possibile vedere tre distinte catene montuose: il Karakorum a nord-est, con l’nconfondibile piramide del K2; l’Hindu-Kush a nord-ovest e molto  in lontanaza a settentrione il Pamir.

Il Nanga Parbat ha registrato in passato più morti di qualsiasi altra montagna, soprattutto lungo l’itinerario Rakhiot, in anni più recenti si sono verificate meno tragedie su questa montagna che su molti altri Ottomila.

Ma perchè gli alpinisti continuano a tornare ?

Che cosa li attrae per correre un rischio così grande ?

Qualunque sia la il motivo, esso è così profondamente radicato nella nostra psiche da non poter essere rimosso.

Noi dobbiamo assecondare, controllare e, infine nutrire la nostra passione.

Negarla, significa affievolire l’esperienza di vivere; lasciarla scatenare, significa rischiare di perdere tutto.

Scalare il Nanga Parbat, la nona montagna al mondo per altezza, vuol dire realizzare un grande compromesso.

 

Partecipanti alla spedizione

Io e l’amico/compagno di diverse spedizioni Giuseppe Pompili ci siamo aggregati ad una spedizione di austriaci che abbiamo conosciuto nel 2007 al Broad Peak.

Il capospedizione è Gòschl Gerfried e il medico Fessler Peter

Il gruppo è composto da 19 persone (di cui 2 donne) e 6 sherpa degli austriaci.

 

Programma di massima

11/06 - Partenza dall’Italia (Venezia-Dubai-Islamabad)

12/06 - Arrivo a Islamabad (sdoganamento materiale spedito via cargo, brifing al mistero per permesso di salita e ultimi acquisti di viveri/materiale)

13/06 - Partenza per Chilas in pulmino (480 km)

10/06 - Partenza da Chilas in jeep e arrivo a Halale Bridge (1800 m)

15/06 - Partenza Trek  e arrivo a Ser (2900 m)

16/06 - Da Ser a Kachal (3900 m)

17/06 - Da Kachal al  Campo Base (4250 m)

18/06 al 22/07 – Tempo a disposizione per tentare la vetta

23/07 - Dal  Campo Base a Chilas

24/07 - Da Chilas a Islamabad

25/07 - Giorno libero a Islamabad

26/07 - Partenza per l’Italia (Islamabad-Dubai-Venezia)

 

Contatti

Dal Cin Adriano – Via don Minzoni n.30 – 31058 – Susegana (TV)

Tel. 0438-458654 (dalle 8.00 alle 17.00)

E mail:  adriano.dal-cin@libero.it