Giovedì 24 ottobre 2002





 

Franco Miotto ha ricevuto lo scorso anno il Pelmo d'oro l'importante premio consegnato ai migliori protagonisti di conquiste in montagna
Un libro dedicato all'uomo dei viaz
Esperienze di vita di Franco Miotto
IL LIBRO Conquiste estreme di vette bellunesi

di Marco Conte

BELLUNO. Franco Miotto, alpinista bellunese dell'epoca "eroica" giunto oggi alla rispettabile soglia dei settant'anni di età, è universalmente ricordato come "l'uomo dei viàz", il cacciatore pentito che alla fine degli anni Settanta rinunciò all'attività venatoria per dedicarsi anima e corpo alle scalate su roccia. Premiato con il prestigioso "Pelmo d'Oro" per i suoi importanti meriti di carriera, Miotto è da oggi anche protagonista di una biografia scritta da Luisa Mandrino ed intitolata "La forza della natura", che racconta la sua vita e le sue imprese sulle Dolomiti Meridionali. Pubblicato dalla Cda - Vivalda Editori, verrà presentato alle ore 18 di oggi, nell'ambito della rassegna "Oltre le Vette". In attesa di intervenire personalmente alla serata a lui dedicata, Franco Miotto tiene fede al suo proverbiale temperamento di persona riservata e preferisce per il momento non anticipare o commentare alcuno dei contenuti della pubblicazione: «Si tratta del racconto dell'intera vita di un uomo, prima che di un alpinista», esordisce parlando del libro, «e sarebbe difficile ora come ora riassumerlo in due parole». Miotto accetta tuttavia di tornare a parlare della sua passata carriera sulle nostre montagne, sulle vette che circondano la città di Belluno.
Quali sono le cime che ricorda con più affetto, quali le imprese cui riserva un maggiore spazio nella sua memoria?
«Si tratta di una domanda difficile poiché le montagne sono tutte belle, non ce ne sono di più o meno importanti. È vero nella mia esperienza ho privilegiato soprattutto i monti di casa, ma si è trattato di una scelta consapevole, perché sono dell'avviso che sia assurdo intraprendere lunghi viaggi alla ricerca di cime sconosciute quando disponiamo di montagne straordinarie appena varcata la soglia domestica. Ne cito una per tutte: la parete del Burèl, nel gruppo della Schiara, è la più alta in tutte le Alpi. Può ad esempio reggere benissimo il confronto con quella dell'Agnèr che si eleva per 1.500 metri, la quale tuttavia non possiede la sua stessa verticalità. Il Burèl è una montagna straordinaria, situata tra l'altro in un luogo selvaggio e del tutto privo di rifugi, bivacchi o altri punti di appoggio: l'importanza di questa cima sotto il profilo alpinistico è testimoniata anche dall'ultimo libro di Reinhold Messner, il quale a suo tempo si aggiudicò la ripetizione della via italo - polacca, ed ha ora dedicato diverse pagine a questo episodio. Dopo di lui, nell'anno 1974, la prima invernale della medesima parete venne effettuata dal sottoscritto insieme al mio compagno di cordata Riccardo Bee. Si tratta tuttavia soltanto di esempi, tutti gli anni seguenti sono stati un periodo all'insegna dell'alpinismo di tipo esplorativo, nel quale tutti i "tabù" sono caduti uno ad uno: basti pensare alla parete nord - est del Pizzocco, la pala Tissi, il monte Pelmo, il Col Nudo, le Pale di San Lucano».
Ci troviamo attualmente nell'anno che le Nazioni Unite hanno dedicato alle terre alte di tutto il mondo: ritiene che si tratti di un'iniziativa positiva?
«È certamente una manifestazione che ha uno sfondo politico, ma è anche innegabile che la montagna abbia bisogno di una profonda attenzione da parte del mondo della politica. I disastri all'ambiente provocati dagli eventi naturali si spiegano soltanto con l'assenza dell'uomo, che un tempo sapeva conservare il territorio ed oggi lo ha abbandonato per le sue difficoltà a procurarsi il sostentamento quotidiano. È per questo che qualsiasi iniziativa volta a promuovere la montagna non può che essere positiva».