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 Franco Miotto ha
ricevuto lo scorso anno il Pelmo d'oro l'importante premio
consegnato ai migliori protagonisti di conquiste in montagna
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Un libro dedicato all'uomo dei viaz Esperienze di
vita di Franco Miotto IL LIBRO Conquiste estreme di vette
bellunesi
di Marco Conte
BELLUNO. Franco Miotto, alpinista
bellunese dell'epoca "eroica" giunto oggi alla rispettabile soglia
dei settant'anni di età, è universalmente ricordato come "l'uomo dei
viàz", il cacciatore pentito che alla fine degli anni Settanta
rinunciò all'attività venatoria per dedicarsi anima e corpo alle
scalate su roccia. Premiato con il prestigioso "Pelmo d'Oro" per i
suoi importanti meriti di carriera, Miotto è da oggi anche
protagonista di una biografia scritta da Luisa Mandrino ed
intitolata "La forza della natura", che racconta la sua vita e le
sue imprese sulle Dolomiti Meridionali. Pubblicato dalla Cda -
Vivalda Editori, verrà presentato alle ore 18 di oggi, nell'ambito
della rassegna "Oltre le Vette". In attesa di intervenire
personalmente alla serata a lui dedicata, Franco Miotto tiene fede
al suo proverbiale temperamento di persona riservata e preferisce
per il momento non anticipare o commentare alcuno dei contenuti
della pubblicazione: «Si tratta del racconto dell'intera vita di un
uomo, prima che di un alpinista», esordisce parlando del libro, «e
sarebbe difficile ora come ora riassumerlo in due parole». Miotto
accetta tuttavia di tornare a parlare della sua passata carriera
sulle nostre montagne, sulle vette che circondano la città di
Belluno. Quali sono le cime che ricorda con più affetto, quali le
imprese cui riserva un maggiore spazio nella sua memoria? «Si
tratta di una domanda difficile poiché le montagne sono tutte belle,
non ce ne sono di più o meno importanti. È vero nella mia esperienza
ho privilegiato soprattutto i monti di casa, ma si è trattato di una
scelta consapevole, perché sono dell'avviso che sia assurdo
intraprendere lunghi viaggi alla ricerca di cime sconosciute quando
disponiamo di montagne straordinarie appena varcata la soglia
domestica. Ne cito una per tutte: la parete del Burèl, nel gruppo
della Schiara, è la più alta in tutte le Alpi. Può ad esempio
reggere benissimo il confronto con quella dell'Agnèr che si eleva
per 1.500 metri, la quale tuttavia non possiede la sua stessa
verticalità. Il Burèl è una montagna straordinaria, situata tra
l'altro in un luogo selvaggio e del tutto privo di rifugi, bivacchi
o altri punti di appoggio: l'importanza di questa cima sotto il
profilo alpinistico è testimoniata anche dall'ultimo libro di
Reinhold Messner, il quale a suo tempo si aggiudicò la ripetizione
della via italo - polacca, ed ha ora dedicato diverse pagine a
questo episodio. Dopo di lui, nell'anno 1974, la prima invernale
della medesima parete venne effettuata dal sottoscritto insieme al
mio compagno di cordata Riccardo Bee. Si tratta tuttavia soltanto di
esempi, tutti gli anni seguenti sono stati un periodo all'insegna
dell'alpinismo di tipo esplorativo, nel quale tutti i "tabù" sono
caduti uno ad uno: basti pensare alla parete nord - est del
Pizzocco, la pala Tissi, il monte Pelmo, il Col Nudo, le Pale di San
Lucano». Ci troviamo attualmente nell'anno che le Nazioni Unite
hanno dedicato alle terre alte di tutto il mondo: ritiene che si
tratti di un'iniziativa positiva? «È certamente una
manifestazione che ha uno sfondo politico, ma è anche innegabile che
la montagna abbia bisogno di una profonda attenzione da parte del
mondo della politica. I disastri all'ambiente provocati dagli eventi
naturali si spiegano soltanto con l'assenza dell'uomo, che un tempo
sapeva conservare il territorio ed oggi lo ha abbandonato per le sue
difficoltà a procurarsi il sostentamento quotidiano. È per questo
che qualsiasi iniziativa volta a promuovere la montagna non può che
essere positiva».
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