Posti da cartolina

di Gloria Zambon - CAI Conegliano 2005

Un aspetto dell’andar per monti spesso trascurato dai manuali di escursionismo è quello delle cartoline del rifugio.

In apparenza innoque, sono invece molto più insidiose di un crepaccio nascosto. Quando arrivate, le trovate che sonnecchiano placide nella loro bacheca, generalmente posizionate nella parete più soleggiata dietro il bar.

Spesso sono decorate con un foglietto recante un numerino scritto a pennarello, cosa che le rende simpaticamente simili a maratoneti di cartoncino. E' solo quando volete comprarne una che vi rendete conto appieno del ginepraio in cui vi state cacciando. I più temerari o i più inesperti per prima cosa chiedono al gestore. Mossa sbagliata e pericolosa. Per motivi che la scienza ancora non sa spiegare, non c’è niente che indisponga di più un gestore che l’essere interpellato sulle cartoline. Anche i gestori più pacifici e bendisposti, di fronte ad un turista che pretende di fargli fare i cartolai, diventano delle bestie feroci. Se poi trovate quello già rude di natura, rischiate di trovarvi uno scarafaggio nello zaino o una badilata di neve nella cuccetta. Non vi resta che fare da soli.

Il primo scoglio da affrontare è avvicinarvi alla famigerata bacheca. Quello che prima vi era sembrato un posto comodo e a portata di mano, si rivela in realtà più protetto del caveaux di una banca. Innanzitutto, la bacheca è collocata a misura del gestore. Se è piccolo di statura, dovrete inginocchiarvi per esaminarne il contenuto, facendovi ramponare da tutti quelli che rientrano dalle escursioni. Se è un energumeno, avrete bisogno di piantare uno spit sul muro per raggiungere alpinisticamente la preda. Nel migliore dei casi è posto ad altezza umana, ma nel passaggio più frequentato della cucina. Dovrete così combattere con cameriere da battaglia che vi spiaccicano contro la porta, con zaffate di vapori bollenti, con zuppe d’orzo roventi rovesciate su parti intime. Se siete così testardi da arrivare a una distanza utile per la scelta del soggetto, preparatevi ad un’amara sorpresa: anche le cartoline, come le persone, si abbronzano. Solo che le cartoline diventano di un colore azzurrino uniforme e tendono a perdere irrimediabilmente tutti i particolari salienti dell’immagine. A quel punto capite il significato dei numerini a pennarello. Non potendo dire “Mi dia quella con la Croda Da Lago in primo piano” siete costretti a tentare la sorte sparando “Voglio la quattro”. Ho assistito una volta ad un colloquio di questo tenore tra un ingenuo turista veneziano e un rude gestore altoatesino:

“Per cortesia, vorrei la 5”

“La 5 no, è photo di mia prima comunione

“Ah, scusi. Allora la 8”

“Non posso, è tessera sanitaria di mio kugino”

“Come non detto. Mi dia la 7”

“Non c’è”

“La 2”

“Gliela dò, ma defo affertirla ke è una veduta del Lido di Jesolo”

“La 1”

“Ah, pravo, 1 è completamente bianca, ma in prezzo sono inclusi eine matita und eine figurina di Del Piero”

So di gente che si porta le cartoline da casa prima di un’escursione. Poco importa che mandino ad un amico il panorama del porto di Genova o di “London By Night”. Si sono così rassegnati da essere sinceramente convinti che “quello che conta è il timbro del rifugio”.

Un’altra cosa curiosa da notare riguardo alle cartoline dei rifugi è la loro singolare mancanza di scelta, inframmezzata da sconcertanti lampi di fantasia.

Se il gestore è innamorato del suo rifugio potreste imbattervi in sequenze di cartoline che contengono unicamente immagini dell’edificio: “Il rifugio TalDeiTali durante la nevicata dell’86”, “Il Rifugio visto dalla Croda del Nonno”, “La prima pietra del Rifugio”, “Felice Gimondi beve un brulè al Rifugio”, “La sostituzione delle piastrelle del bagno al Rifugio”, “Il tubo del gas del Rifugio gravemente lesionato dopo l’alluvione del 62”. Il rifugio è così centrale nell’ispirazione artistica del fotografo, che spesso è impossibile idendificare alcunché delle montagne circostanti.

Può capitare che dopo una settimana di trekking sulle Alpi Occidentali un amico vi saluti per strada apostrofandovi “Bello il Mar Rosso, eh?!”.

Un altra scuola di pensiero è quella nostalgico-conservatrice, incentrata sugli anni 50/60. Nel senso che le cartoline in vendita sono state fatte in quegli anni e pertinacemente riprodotte identiche per il diletto delle generazioni. Vi campeggiano boccoluti pastorelli in pantaloncini tirolesi che ormai saranno trisavoli, donzellette con il fazzoletto in testa oggi probabilmente iscritte al club dei pensionati, cime franate da almeno 20 anni, foreste bruciate da un pezzo, torrenti deviati ecc. L’unico motivo che si può avere per acquistarle è di trovarvi dentro la “600 che aveva il nonno quando era giovane” o il “Gilera dello zio Ernesto quando andava all’Avviamento”.

Non mancano però gli esteti. Essi scelgono le cartoline da mettere in vendita esclusivamente in funzione della loro bellezza. Ecco allora magnifiche macrofotografie di fiori con farfalle, cerbiatti al tramonto, bucaneve in primavera ecc. . E non azzardatevi a chiedere cosa c’entrino le Tre Cime o le Cinque Torri con il posto in cui vi trovate, che può distare centinaia di chilometri dalle Dolomiti cortinesi. Il gestore esteta invariabilmente vi risponderà “E perché, non sono belle?”.

Poi c’è il baro. Quello che, avendo a disposizione solo quattro soggetti, spesso inguardabili, gioca sulla numerazione. Faccio un esempio: “106 - Veduta sul motore della Funivia”; “327 - Il nonno di Bepo che fuma un sigaro con, sullo sfondo, la Gran Buazza”; “1075 - nido di vespe sotto la cappa della stufa a gas”. Il messaggio implicito è: “Mi rimangono solo quelle brutte, tutte quelle belle sono andate a ruba”.