Himalaya - Khumbu Haute Route

di Diego Della Giustina

Si sa che il fascino delle prime volte è spesso legato alle grandi aspettative, all'assenza di ricordi, di quelle memorie che ti fanno mettere a confronto il presente con il passato, e a giudicare le trasformazioni legate al trascorrere del tempo. L'esperienza di una prima è quindi del tutto particolare e consente la scrittura dei ricordi su di un libro bianco, immacolato. Ti permette di vivere pienamente il tempo presente.

Oggi Kathmandu è la città dove la vita si svolge sul ciglio della strada, con un caotico brulicare di gente nel traffico che sembra impazzito. Auto, moto, rickshaw, tok tok si incrociano ad ogni istante e non si toccano mai: il clackson suona continuamente ma nessuno si adira. Sembra quasi che ai nepalesi, con il loro spirito gioviale, sia sufficiente avvisare della propria presenza. Probabilmente il buddismo che assieme all'induismo è la religione preminente del paese, ha insegnato alla gente lo stare fra la gente e il rispetto per la vita umana. Kathmandu è anche la Thamel degli Internet café e delle telefonate intercontinentali a poche rupie al minuto; poco importa se la qualità è scadente e meglio ancora se i ritardi della comunicazione impongono un colloquio poco impulsivo e più ragionato. La Kathmandu di questo viaggio è anche una città povera di turisti. Nonostante l'autunno sia notoriamente il periodo di maggior affollamento, l'eccidio reale dell'estate scorsa, le minacce del terrorismo internazionale e i ribelli maoisti tengono lontano dal Nepal e dalle sue grandi montagne non pochi occidentali.

Non è usuale iniziare un trekking con un volo su un piccolo bimotore ad elica. Dopo essersi incuneato nelle profonde vallate del Solu Khumbu, fra le nuvole di una uggiosa mattinata, ti fa provare l'ebbrezza di un atterraggio su una pista a 2.800 metri, Lukla, che è stata realizzata in salita per rallentare il velivolo che altrimenti punterebbe deciso verso i pendii del Kusum Kangguru (m.6369). Applausi al pilota.

Ecco i portatori Rai e Tamang; non il popolo Sherpa come si sarebbe portati a credere. Gli Sherpa sono destinati alle mansioni più redditizie dell'economia di queste vallate. I portatori sono tutti molto giovani e sono vestiti della generosità delle spedizioni e dei trekker che frequentano il Khumbu, la valle di Gokyo e dell'Imja Khola. L'anno scorso il parco nazionale del Sagarmatha, l'Everest del popolo Sherpa, ha visto oltre 25000 presenze, 8000 delle quali nel mese autunnale di maggiore frequentazione, il più generoso per le splendide vedute e il clima secco. Oggi gli ospiti di queste valli ai piedi degli 8000 dell'Himalaya nepalese sono molti di meno, meglio così.

Attualmente queste alte vallate montane hanno un'economia legata esclusivamente alla frequentazione turistica. Accanto ai villaggi tradizionali sorgono quelli nati primariamente per l'alloggio dei trekker, dove i lodge offrono un'ospitalità confrontabile a quella dei rifugi alpini. Se ne costruiscono di nuovi, con le pietre granitiche dell'Himalaya, scavate pazientemente dagli scalpellini e trasportata a dorso d'uomo con appositi basti in legno. Carichi enormi, mattoni, combustibile, alimentari, bevande; tutto viaggia a dorso di yak o sorretto da fascie di stoffa appoggiate alla fronte con le quali i doko, le gerle himalayane, scaricano il peso lungo la colonna vertebrale. Dopo quanti anni questi giovani portatori non ne potranno più, con la schiena e il collo ridotti a pezzi dal duro lavoro?

La bassa valle del Khumbu pullula di bambini che giocano in gruppo lungo il selciato delle vie di comunicazione. I visi coloriti non nascondono un'infanzia passata all'aria aperta.  Solo il transito dei trekker li distroglie dai giochi per la richiesta di dolciumi. C'è addirittura un lattante ai 5000 metri di Lobuche, ma è un caso unico: la programmazione delle nascite è d'obbligo a queste quote, dove le condizioni climatiche e di vita lascerebbero ben poche speranze di sopravvivenza. 

Namche Bazar, ad oltre 3400 metri, la capitale del Khumbu ha il suo Cyber Café, con tanto di Internet corner e con la moquette verde sul pavimento. Lì si ascolta la musica occidentale di vent'anni fa: Eagles, Bob Marley e sorseggiando la birra occidentale, approdata in Nepal per puro opportunismo, si leggono le iscrizioni delle varie spedizioni lasciate sulle t-shirt appese ai muri del locale. Il chang, la birra locale, un intruglio a base di cereali fermentati è tutt'altra cosa e il popolo Sherpa sorride alle smorfie di disgusto degli occidentali; ma non si può non provare. Capita anche di incrociare un plurisponsorizzato Hans Kammerlander che, di ritorno dall'Island Peak, con un cliente viene a bersi una birra (occidentale) al Thamserku Lodge, dove la simpatica ed intraprendente Pemba Sherpa, prima nepalese ad aver salito l'Everest dal versante tibetano, intrattiene gli ospiti raccontando in più lingue della sua salita e mostrando a tutti le foto del suo album. E così si riscopre il fatalismo rilassato del popolo Sherpa: le disavventure della discesa, una scivolata per lo zoccolo di neve sotto i ramponi, la morte che la ha avvicinata una vita successiva, o la salita alla più alta montagna della terra effettuata con l'Island Peak, o poco più, come unica cima di acclimatamento, sono  vissute con il sorriso sulle labbra.

I lodge sono riservati ai trekker ed alle guide Sherpa; i portatori Rai e Tamang se ne stanno nelle misere casupole all'addiaccio: costa meno e permette loro di capitalizzare quei pochi dollari al giorno che il duro lavoro riserva. Oggi il menù dei lodge è piuttosto variato; le intraprendenti donne Sherpa hanno imparato a viziare i frequentatori delle valli. Non è tuttavia consigliabile far visita alle fuliginose cucine dove spesso ribollono le varie zuppe ed il dal bhat dentro grossi paioli in un clima  che si avvicina a quello fiabesco della casa di una maga che prepara i suoi intrugli magici.

Le fredde serate dei lodge sono riscaldate dalle stufe caricate a sterco di yak o di zopkios, la varietà a pelo corto, opportunamente essiccato. Entro il parco è proibito l'uso della legna e comunque sopra i 4000 metri non se ne troverebbe. Capita quindi di ritrovarsi pile di combustibile animale conservato nei pressi dei cameroni, e disposte con meticoloso ordine in appositi armadi in bella vista.

Queste valli sono permeate dalla cultura buddista. I Chorten e gli Stupa, piccoli tempi e reliquiari, sono disseminati lungo il percorso assieme ai Muri Mani, le pietre incise con i mantra di preghiera tibetani: "Om Mani Padme Hum" su tutti. A Khumjung, bellissimo villaggio a oltre 3800 metri, è possibile osservare un improbabile scalpo di Yeti, conservato nel monastero da una raggrinzita vecchia Sherpa che lo espone, a pagamento, per non più di mezzo minuto. Hillary che qui ha costruito una scuola, spedendolo negli USA per le analisi del caso, ha tolto ogni dubbio: è pelo di capra!

Il trekking oltre i 3500 metri procede con brevi tappe; l'acclimatamento richiede non più di 300, 400 metri di dislivello al giorno; e così c'è il tempo per godersi questi monti affascinanti più o meno noti, ma tutti svettanti sopra i 6000 metri.

Tutte le serate sono caratterizzate dalla presenza di una chiara luna che illumina di luce argentea le candide pareti ghiacciate delle montagne di queste valli. E nonostante il chiarore lunare miriadi di stelle punteggiano la volta celeste.

Il Thamserku (m. 6608) è il primo altissimo picco ad apparire e a dare un tono di austerità al cammino. E' fiancheggiato dalla piramide  seminascosta del Kangtega (m. 6685), la "sella di cavallo" con la sua bella parete nord. Namche si risveglia con il sole sul Kwangde Ri (m. 6187), cima dalle creste eleganti. Il formidabile Cholatse (m. 6440), la "cima del lago" con la sua verticale e superba parete nord di 1800 metri,  incrostata di ghiaccio, resta nella memoria per la superiorità delle sue linee e per i contrasti con le praterie sottostanti dove pascola uno stupendo yak bianco. Non c'è Eiger che tenga di fronte a questa parete che ci dicono sia stata salita un anno fa, e a quella vicina del Taboche (m. 6367). Il Lobuche Peak (m. 6105) con la sua lunga cresta nevosa ricorda un pò la Biancograt del Bernina. Sentinella della valle è l'Ama Dablam (m. 6856) dalle linee svettanti ed elegantissime, la cima probabilmente più nota dopo i colossi di 8.000 metri. E poi le altissime bastionate del Baruntse (m. 7220) e del Cho Polu (m. 6734) a chiudere la lunga valle dell'Imja Kola che si protrae ad est verso il Makalu. Gli 8.000 metri con i loro contrafforti sono ben tre da queste parti. Il Cho Oyu (m. 8153) al cumine della valle di Gokyo, con un formidabile crestone che si protrae altissimo ad est verso il Gyachung Kang (m. 7922), la sedicesima montagna della terra. La piramide nera dell'Everest (m. 8848), con il Nuptse (m. 7879) dalle linee quasi impazzite, chiude il circo glaciale del Khumbu dove svettano anche l'arrotondata piramide del Pumori (m. 7145) e il Lingtreen (m. 6697) che presenta un'elegante scivolo ghiacciato. Il Lhotse (m. 8501), con la sua grande ed articolata parete sud, domina la valle dell'Imja Khola nel bel mezzo della quale, come un'isola di ghiaccio, sorge l'Island Peak (m. 6189) che si sale normalmente da sud-est.

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Island Peak: il ripido pendio finale e la visione del Lhotse dalla cresta sommitale (Foto Diego Della Giustina)

L'Island Peak è una cima talmente frequentata al punto da trovarvi una guida tedesca che la ha "adottata" per portarvi i suoi numerosi gruppi di clienti. Una notte in tenda a 5.400 metri, l'High Camp,  avvicina alla meta. Merita senz'altro questa salita con il sole che sorge sull'Ama Dablam e la piramide scura del Makalu che emerge in lontananza verso est. C'è da risalire uno scivolo ghiacciato a 50° per montare sulla cresta che impennata in modo bizzarro dal ghiacciaio sottostante. Percorrendo la cresta lo sguardo è calamitato dall'immane parete del Lhotse che è lì a due passi e sembra di poter toccare con mano. L'Island Peak è anche la cima dei contrasti sull'uso delle corde fisse, delle guide locali e dell'affollamento. Lascio la cima vera e propria a qualche decina di metri e preferisco fare ritorno, un pò deluso dal clima commerciale dell'ultima parte della salita.

Quasi a contrasto con quell'accalcarsi di alpinisti, molti dei quali appaiono automi in preda ai disturbi della fatica e dell'alta quota, il Campo Base dell'Everest (m.5350) è in questo autunno un'oasi di pace con le sue immobili vele di ghiaccio. Nessuna spedizione; non capitava da oltre vent'anni. Nessun altro intorno e il ghiacciaio ha ripreso proprietà del luogo, rimodellando a modo suo le piazzole delle tende: ma dove possono essere? Ed è così che Sagharmata, la "Dea Madre della Terra", tra le trasparenti bandiere colorate di preghiera rimaste a segnare il luogo, può farsi meglio ascoltare. La seraccata del Khumbu è lì, ad invitare alla salita nel grembo del circo glaciale del Western Cwm. Solo pace e serenità oggi in questo luogo teatro di grandi imprese e grandi tragedie dell'alpinismo hymalaiano.

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L'Ice Fall dall'Everest Base Camp e la vista dal Gokio Ri con il Cholatse sullo sfondo (Foto Diego Della Giustina)

I monumenti eretti a ricordo degli Sherpa e degli alpinisti caduti si trovano poco sopra Gorak Shep, con quello per Rob Hall più vistoso fra gli altri, e sopra l'abitato di Dingboche dove c'è un vero e proprio cimitero, Chukpo Laré. Qui è stato ricordato Scott Fisher.

Queste alte valli hanno la caratteristica di presentare delle stupende balconate, poco più di collinoni, per attrarre la smania di paesaggi dei trekker. Il Gokio Ri (m. 5340) con l'eccezionale vista sull'infilata dei laghi della valle omonima e del Ngozumpa Glacier, il ghiacciaio più lungo del Nepal, ed il Kala Pattar (m. 5600) veramente affascinante punto di osservazione su Everest, Colle Sud, Nuptse e tutti gli altri elementi dell'alta valle del Khumbu.

E infine, come se gli spettacoli non bastassero mai, ecco anche il festival religioso del Mani Rimdu, che si tiene una volta all'anno nel monastero di Tengboche, il più importante della zona. I monaci, travestiti con coloratissimi mascheroni danzano e scherzano con i turisti, suscitando l'ilarità del popolo Sherpa. Chi si lascia benevolmente prendere per i fondelli nel cortile del monastero è infine premiato dal rimpoche del posto che gli avvolge attorno al collo una sciarpa di seta kata. Lo spettacolo si chiude con la trance di un monaco in maschera e la pioggia di rupie gettate dagli Sherpa dal palco del cortile.

Au revoir Khumbu Haute Route!.