Franco Miotto, l'uomo dei viaz

Intervista di Osvaldo Segale in occasione della XVI Serata Augurale CAI-ANA del 6/12/2002

Organizzato dal CAI di Conegliano, si è svolto all'Auditorium "Dina Orsi" un interessante e piacevole incontro con l'alpinista bellunese Franco Miotto. E' stato proiettato un film documentario riguardante il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi "Risvegli e precipizi" di Luigi Cammarota che ha come protagonista lo straordinario personaggio di Franco che con la sua avventurosa vita alpinistica, viene oramai ricordato come "l'uomo dei viaz".

Nato a Malles (Val Venosta) nel 1932, Franco Miotto frequenta fin da piccolo la montagna: l'inverno con gli sci, l'estate compiendo lunghe e faticose camminate e l'autunno con il padre cacciatore. Franco eredita quindi dal padre la passione per la caccia che lo porta a praticare vertiginose cenge, canaloni e dirupi coperti da erbacce.

La sua storia alpinistica, invece, inizia molto più tardi ... però senza fucile. Per le sue importanti imprese alpinistiche su Burel, Pizzocco, Pale di San Lucano e Col Nudo viene premiato nel 2001 con il "Pelmo d'Oro". Franco Miotto è anche membro del Club Alpino Accademico Italiano (CAAI) e la sua esperienza di vita sulle Dolomiti Bellunesi è raccontata in un bellissimo libro intitolato "La forza della natura", scritto da Luisa Mandrino che è stato presentato da Diego Della Giustina, alla presenza dell'autrice in occasione della presenza dell'alpinista a Conegliano.

Al termine della serata Franco Miotto ci ha rilasciato la seguente intervista.

Innanzitutto come è approdato all'alpinismo?

Ci sono arrivaro attraverso la pratica della montagna negli anni in cui frequentavo le valli delle Dolomiti Bellunesi che sono impevie, dure, molto dure. All'epoca le percorrevo da cacciatore; poi nel 1978, l'anno in cui ho chiuso con la caccia, in quelle valli, con l'arrampicata, "mi sono fatto le ossa". Credo che quella sia la più importante e potente scuola di alpinismo.

Perché più potente?

Ma perché si viaggia un po' su tutti i terreni, dove non ci sono possibilità di assicurazione, per cui si deve lavorare d'istinto e capire dove e quali sono i punti deboli della salita.

Come è maturata in lei la scelta di diventare "l'uomo dei viaz?"

E' maturata, come dicevo poc'anzi, nelle montagne del Parco perché quei sentieri sono scomparsi con il tempo. E a mio modo di vedere, è una vera fortuna che siano spariti perché si tratta di una montagna selvaggia che ora si difende egregiamente da quell'escursionismo di massa  che potrebbe creare seri e gravi danni all'ambiente. Oggi sono terreni praticabili  solo per gente esperta ed appassionata di quei luoghi. Inoltre, chi è cacciatore come lo sono stato io, impara a leggere sul terreno le tracce degli animali e con queste può andare dappertutto.

Per percorrere esili cenge su precipizi e dirupi  come fa lei occorre più coraggio o incoscienza?

Nessuna delle due. A pare mio ci vuole grande serenità e la consapevolezza dei propri mezzi, unite ad un profondo senso di umiltà. Umiltà nel far diventare facile il difficile e difficile l'impossibile. Occorre sempre tener presente che non c'è montagna che valga la vita di un uomo. Cio' che porta a praticare questi luoghi è la passione e lo spirito di avventura in un individuo che non è né pazzo, né incosciente, ma una persona matura e consapevole, con i principi che ho appena enunciato.

Lei alla fine degli anni '70, come accennava all'inizio, abbandonò l'attività venatoria per dedicarsi completamente alle scalate su roccia. Che cos'è che la spinse a quella rinuncia?

Quella rinuncia era da tempo nell'aria. Era in fase di maturazione. La caccia è stata una passione trasmessami per tradizione da mio padre, in quanto sono figlio maschio primogenito in una famiglia con cinque figli, dove mio padre cacciatore era a sua volta figlio di una generazione di cacciatori. Una passione che si tramandava da moltissimi anni e quindi non poteva che continuare. Io invece ho avuto tre figlie, nessun maschio, per cui fortunatamente questa pratica si è interrotta.

Ma quale è stata la vera ragione per la quale ha rinunciato all'attività?

Vede, la caccia, soprattutto alla fine degli anni '50, per me era anche un incentivo al mantenimento della famiglia. All'epoca percepivo uno stipendio di 40.000 Lire mensili, 13.000 delle quali si "dissolvevano" nell'affitto. In pratica, per farla breve, a fine mese non restava una Lira ed in macelleria non ci potevo andare. Da qui la nacessità di cacciare. Successivamente il miglioramento delle condizioni economiche ma anche e soprattutto un fatto che mi fece molto riflettere, mi fecero cambiare idea.

Che cosa successe?

Avevo cacciato uno splendido camoscio maschio. Poco dopo che si era accasciato al suolo, vidi l'intero branco che un istante prima era fuggito a destra e a manca, tornare e fermarsi incredulo accanto al suo corpo immobile. Una scena straziante che mi fece provare pena e rimorso, per cui da quel momento decisi di dare un taglio netto all' attività venatoria. Con quella decisione ho voluto mettere a posto la mia coscienza ed al tempo stesso fare contenti anche due cari amici: Piero Rossi ed il professor Agostini.

Lei nel 2001 ricevette il "Pelmo d'Oro", l'importante riconoscimento che viene assegnato, in Provincia di Belluno, ai migliori protagonisti della montagna. Che effetto le ha fatto?

Mi ha reso felice e contemporaneamente, per me che provenivo dalla pratica della caccia e che quindi nell'ambiente alpinistico bellunese non godevo di molte simpatie, è stato anche una grossa sorpresa. Si, mi ha fatto piacere riceverlo.

Se potesse tornare indietro rifarebbe quello che ha fatto?

Non è facile rispondere a questa domanda. Indietro non ci vorrebbe tornare nessuno perché la vita non è legata al passato. La vita è proiettata nel futuro alla ricerca di una felicità assoluta che però non esiste. Tuttavia, considerando le forti emozioni che il passato mi ha dato, non rinnego ciò che ho vissuto, anche se sono orgoglioso della decisione che ha posto definitivamente fine alla mia attività venatoria.