Marco Confortola

 

intervista di Osvaldo Segale in occasione della serata 

CAI Conegliano "Montagna Insieme - Spettacolo Montagna" del 28 novembre 2008

Quella di venerdì 28 novembre 2008, svoltasi all'auditorium "Dina Orsi" di Conegliano, organizzata dalla nostra sezione, è stata una serata speciale, con un ospite straordinario: Marco Confortola.

Appassionato di alpinismo estremo, di  motori, di velocità, Marco dal 2004 si dedica anche alle salite agli 8.000. La grande passione per le montagne Marco se l'è trovata addosso, fin da ragazzo, in modo quasi inconsapevole. A trasmettergliela è stato papà Alfonso, in quel di Uzza, un paese della Valtellina. Dopo la prima elementare, d'estate, Marco è stato mandato a fare il pastore e lassù, circondato dal silenzio e dal verde della natura, è rimasto folgorato dalle montagne, al punto da divenire tuttuno con esse.

A 19 anni inizia a fare i corsi per Guida Alpina e di Maestro di Sci a Santa Caterina Valfurva. A 33 anni, dopo alcune esperienze di sci estremo, si avvicina all'alta quota partecipando alla spedizione Everest/K2, guidata da Agostino Da Polenza e riuscendo nella salita all'Everest, ma dovendo rinunciare al K2.

Nel 2005 e 2006 si dedica particolarmente alle salite himalayane: lo Shisha Pangma, il tentativo al Lhotse e la cima dell'Annapurna. Nel 2007 giunge in vetta al Cho Oyu salendo in giornata dal Campo Base, e sul Broad Peak.

Nel 2008, dopo aver raggiunto la vetta del K2, Marco riesce a sopravvivere ad una drammatica discesa dalla cima che ha causato molte vittime. 

A Conegliano si è raccontato attraverso le sue imprese, dalla Valtellina al K2, e noi, per saperne ancora di più, lo abbiamo intervistato.

Quale è stata la molla che ti ha spinto alla tua avventura alpinistica?

Si è trattato soprattutto della grande passione e dell'amore per la montagna, trasmessami dai miei genitori: due persone importantissime che mi hanno permesso di crescere in un ambiente bello e sano, come la mia Valfurva, un vero paradiso. A 19 anni decisi di vivere di montagna e così è stato. Oggi ne ho 37 e questa mi attrazione verso le alte cime non è mai scemata, anzi, si e molto rafforzata, con il desiderio di salire sempre più in alto.

Infatti, nel 2004, sei salito sull'Everest (versante nord). Com'è il mondo visto da oltre quota 8.000?

Meraviglioso. Una cosa grandiosa. Ciò che si prova da lassù è una sensazione unica, quasi di onnipotenza perché, incredibilmente, si è sul tetto del mondo. E poi, è stato meraviglioso anche perché era il mio primo 8.000.

Come alpinista come ti consideri: prudente o spericolato? Coraggioso o incosciente?

Assolutamente prudente e coraggioso, contrariamente a quello che tanti potrebbero pensare. Non sono per niente incosciente o spericolato proprio perché insegno e parlo di sicurezza in montagna.

A suo tempo Reinhold Messner disse che il pericolo, se provato per gradi, a piccole dosi, risveglia energia e gioia di vivere. Lo condividi?

Certamente. Messner ha ragione. Lo condivido perché è un pensiero veritiero.

Tu, alle ore 19 del 1° agosto 2008, dopo aver raggiunto la cima del K2, iniziasti quasi subito la discesa. Che cosa accadde?

Nella notte tra il 1° e il 2 agosto capitò di tutto. Ci furono 11 morti. Tra questi il mio carissimo amico "Jesus" e due portatori: uno sherpa nepalese ed un hunza pakistano, intervenuti per soccorere i propri clienti.

Quali le cause?

A mio avviso, furono molteplici e diverse: A) i seracchi che crollarono spazzando via le corde fisse a 8.300 metri; B) un chiodo corto utilizzato sul traverso che saltò via appena fu sollecitato; C) invece di usare 2/300 metri di corda di buona qualità, venne usata la corda dei pakistani ...

Cioè?

Una corda "di plastica" di soli 100 metri. Corda che, a parer mio, non sarebbe servita nemmeno a legare il fieno ... insomma un disastro. Un grande tragedia umana ... Ma non voglio scendere nei particolari perché è una vicenda troppo triste, finita malissimo.

Non credi che l'attuale aumento della temperatura terrestre e lo scioglimento dei ghiacciai, possano aver contribuito a causare questa tragedia?

Credo che un pochino abbiano contribuito, però, da che mondo è mondo, i seracchi "vanno in discesa" e mai in salita. Quello che è successo sul K2 è stata una cosa anormale, però non doveva succedere con tutte quelle persone.

Tu, Marco, come ti sei salvato?

Tre cose hanno fatto si che tornassi vivo a casa: una, che il K2 non mi ha voluto; due, che ho la testa dura; tre, che non ho mai mollato.

Quali conseguenze fisiche hai subito?

Una seria amputazione alle 10 dita dei piedi, causata dal congelamento. Però, come ho detto in conferenza, ho ancora tanta voglia di ricominciare e quindi ... avanti tutta! Anche psicologicamente posso dire di aver superato bene l'intervento perché noi alpinisti siamo "attaccanti"; non molliamo mai. E' una cosa che bisogna superare per forza, anche se non è facile.

Hai mai avuto momenti di sconforto? Sei mai ricorso alla preghiera?

Io prego sempre. Prego e ringrazio Dio, anche se non è una bellissima giornata. Quando sono in montagna e vedo un bel tramonto, o una bella alba, sento sempre il desiderio di pregare. Lo ho sempre fatto e continuerò a farlo.

I tuoi genitori come hanno vissuto questa drammatica esperienza?

I miei genitori sono quelli che mi hanno "costruito" e pertanto sanno bene chi sono. Certamente non è stato semplice neppure per loro. però, conoscendo la mia forza d'animo, hanno cercato di prendere questa disavventura con filosofia.

Tornerai a scalare le alte cime?

Intanto continuerò a fare la Guida Alpina e il Maestro di Sci. Poi si vedrà. La voglia di scalare c'è ancora per cui, anche se non tornerò mai più sul K2, continuerò a salire sugli 8.000. Piedi permettendo.