La guerra di Sepp Innerkofler

di Giorgio Zambon

 

"L'uomo caduto durante l'azione di pattuglia sul Monte Paterno è la guida alpina Sepp Innerkofler…"

Questa storia, che comincia dalla fine, è riassunta nel breve e freddo dispaccio che venne inviato il 4 luglio 1915 per comunicare la tragica fine di un mito dell'alpinismo.

Ultimo di quattro fratelli, nasce a Sesto nel 1865 da una famiglia che aveva fatto dell'alpinismo una tradizione. Tutto era iniziato con il capostipite Josef (1802-1887) il quale si dedicò con successo a diverse ascensioni, seppure con tutte le limitazioni imposte dai materiali del tempo.

Il figlio Josef (1842-1919) fu la prima guida alpina patentata e diversi membri della famiglia compirono una lunga serie di prime ascensioni sulle Dolomiti, come Jakob (1833-1895) e Michael (1844-1888) che conquistarono la Cima Dodici, la Cima Piccola di Lavaredo, la Cima Undici ed il Cadin della Neve

Sepp, destinato dal padre Cristian ad intraprendere il mestiere di scalpellino, lavorò per diversi anni in una segheria di Sesto dedicando però ogni minuto libero all'arrampicata ed alla caccia finché, nel 1889, conseguì la patente di guida alpina.

Da quel momento in poi l'attività di guida divenne sempre più importante e remunerativa consentendogli di sposarsi e di mantenere sette figli.

Dopo la scalata della parete nord della Cima Piccola di Lavaredo, fino ad allora ritenuta impossibile, la sua fama crebbe a dismisura, tanto che divenne la guida più ricercata della zona, con clienti che aspettavano giorni e giorni pur di avere il privilegio di farsi guidare da Sepp.

Dal 1895, assieme alla moglie, gestì il rifugio su monte Elmo e poi dal 1898 fino alla distruzione -avvenuta nel 1915 - il rifugio Dreizinnen (Tre Cime) ora Rif. Locatelli.

I proventi derivati dalla gestione dei rifugi e dall'attività di guida gli consentirono di costruire la villa Innerkofler a Sesto come dimora di famiglia ed in seguito l'albergo Dolomiten in val Fiscalina, dotando quest'ultimo di tutte le comodità disponibili al tempo, compresa la luce elettrica che otteneva da un generatore autonomo.

Il povero figlio di scalpellino si trasformò quindi nella persona più ricca e conosciuta della valle ed in una delle guide più stimate dagli alpinisti di tutta Europa.

Lo scoppio della guerra mise fine al periodo d'oro dell'alpinismo e la mobilitazione generale del 1914 rese nuovamente le Dolomiti il regno del silenzio.

Le guide alpine trascorrevano le loro giornate nei rifugi interrogandosi sulla loro sorte e quelli come Sepp, che non erano stati richiamati dalla leva, passarono l'inverno del 1914 in relativa tranquillità anche se le notizie dal fronte russo e le prime liste dei morti della valle non erano certo confortanti.

Nella primavera del 1915 gli strani movimenti a sud del confine e l'accumulo di truppe alpine italiane convinsero i valligiani che era finito il periodo di pace nella loro terra.

Allo scoppio delle ostilità con l'Italia, nel maggio del 1915, il Comando di difesa del Tirolo lavorò febbrilmente per costruire una parvenza di fronte, completamente sguarnito sia dal punto di vista  delle truppe (tutti gli arruolati validi erano dislocati sul fronte russo) che dei mezzi. Fu presa quindi la decisione di arretrare la linea difensiva di qualche chilometro, abbandonando  diverse località (fra le quali Cortina d'Ampezzo), ma riducendo il fronte a meno di 350 Km.

Il grosso problema era costituito dalla mancanza cronica di truppe: quelle disponibili consistevano in 17.000 territoriali di basso valore militare (più che altro guardie di confine dedite al controllo dei contrabbandieri e corpi di polizia locali) che non avrebbero avuto alcuna possibilità di resistere ad un assalto italiano.

Il 18 maggio l'imperatore ordinò la mobilitazione generale degli standshützen (costituiti da iscritti ai poligoni di tiro, cacciatori e volontari) ottenendo così un corpo di 38.000 arruolati fra i 14 ed i 70 anni di età.

Di questi, solo 18.000 vennero impiegati in prima linea, consentendo una certa copertura del fronte sebbene con l'impiego di elementi privi di preparazione militare.

Anche Sepp, assieme al figlio Gottfried e ai fratelli, si era arruolato fra i volontari e si trovò a combattere nel punto cardine del sistema difensivo tirolese comprendente il passo Croce e la valle di Landro, punti di accesso verso nord dotati di strade moderne e distanti appena 15 Km dalla linea ferroviaria della Pusteria.

Lo sfondamento da parte degli italiani di questi punti di passaggio sarebbe stato difficilmente arginabile, e avrebbe consentito alle truppe alpine di interrompere i rifornimenti austriaci, raggiungere il Brennero e conquistare Vienna senza trovare alcuna resistenza.

L'ordine era quindi di resistere ad ogni costo con le forze disponibili lungo la linea di cresta delle montagne in modo da rendere più difendibile il fronte.

Vennero costituite delle pattuglie di ricognizione: fra queste anche quella di Sepp, che comprendeva, oltre al figlio, altre guide della zona.  La pattuglia cominciò la sua attività bellica il 21 maggio con la scalata del Paterno.

Fra il 21 maggio ed il 4 luglio (giorno della sua morte), Sepp effettuò ben 17 giri di pattuglia ottenendo per lui e per la sua squadra promozioni e decorazioni (divenne caporale e subito sergente maggiore saltando ben due gradi della gerarchia militare) cosa resa ancor più  singolare e meritoria dal fatto che, essendo uno standshütze, non era un militare a tutti gli effetti.

Dal suo diario, tenuto fra il 19 maggio ed il 3 luglio, si ricavano le imprese svolte dalla pattuglia durante quei giorni.

Il tono è sobrio e non vi è cenno di retorica o di critica nei confronti dell'una o dell'altra parte; vengono annotate le imprese con commenti anche di natura tecnica e sportiva, quasi fossero degli appunti di escursioni effettuate accompagnando i turisti.

Ovviamente nel diario sono anche contenute indicazioni di natura militare legate alla situazione meteorologica, alle manovre italiane ed austriache, alle valutazioni di tiro per l'artiglieria, ma si capisce bene quale genere di rapporto legasse questi uomini alla montagna.

Nelle annotazioni del suo diario se ne trova perfino una del 25 maggio, incredibilmente flemmatica,  dove assiste alla distruzione del suo rifugio per opera dell'artiglieria italiana.

Per Sepp il Paterno e l'altopiano delle Tre Cime rappresentavano i punti di forza per la linea difensiva sopra la valle di Landro. Riuscì perciò a convincere il comando di zona a farsi assegnare l'occupazione (almeno durante la giornata) della cima del Paterno.

Il 29 maggio la conquista definitiva da parte italiana della cima (a causa delle condizioni meteorologiche avverse che favorirono gli alpini), costrinse gli austriaci ad una serie di assalti per riconquistare quanto perduto.

Da momento che la cima del Paterno misura pochi metri quadrati, il solo modo per riconquistarla era la scalata della montagna da parte di un piccolo gruppo di uomini in modo da sorprendere gli italiani, attestati dietro un muretto lungo poco più di tre metri e alto appena 80 centimetri.

L'unica cordata in grado di compiere questa impresa era la "Pattuglia" di Sepp che difatti cominciò la scalata all'una di notte del 4 luglio.

Giunti in cima furono però scoperti dalla difesa italiana che cercò di respingerli sia con i fucili che con tiro di pietre.

Qui finisce la narrazione storica ed inizia la leggenda in quanto vi sono tre versioni completamente diverse della morte di Sepp.

Nella prima Sepp si erge dietro un sasso, lancia tre o quattro bombe a mano, delle quali forse solo una esplode, e poi viene visto dai suoi compagni "colpito alla fronte precipitare con un urlo giù per la parete e cadere sulla ghiaia."(1)

La seconda, di parte italiana, cita : "D'improvviso appare, dritta sul muretto della vedetta della cima, la figura di un soldato alpino - Pietro De Luca del battaglione Val Piave  - campeggiante nel tersissimo cielo, alte le mani armate di un sasso, rigata la fronte di rosso  della prima bomba. «Ah! No te vol andar via?». Prende giusto la mira, scaglia con le due mani il sasso! Il Sepp alza le braccia al cielo, cade riverso, piomba, si incastra nel camino Oppel, morto." (2)

La terza versione, che serpeggia fra i compagni di Sepp ed i valligiani, è invece che siano stati gli stessi austriaci ad ucciderlo per errore proprio nel momento in cui si era alzato per snidare la vedetta italiana e che ben si evidenzia in quanto scritto nel 1937 e poi nel 1975 dal figlio Sepp jr.

"… mio padre si mise a maneggiare il fucile e nello stesso tempo la mitragliatrice sulla Torre di Toblin (cioè austriaca) iniziò a sparare. Venne subito messa a tacere, ma era già troppo tardi, perché all'istante vidi mio padre scivolare giù per la parete e giacere presso il camino Oppel. Alla esumazione sul Paterno (agosto 1818) non ero presente. Alla seconda esumazione nel camposanto di Sesto ero presente e vidi come la testa fosse perforata diagonalmente dalla fronte verso l'occipite. M'immagino che mio padre si accorse che gli sparavano addosso da dietro e che si voltò. Infatti ho esattamente accertato che l'uscita della pallottola avvenne da dietro."(3)

Queste in sintesi le tre versioni più diffuse sulla sua morte alle quali vanno aggiunte le oltre trenta ricostruzioni ed interpretazioni che si sono sommate nel tempo attraverso comunicati ufficiali ed articoli di giornale che alimentarono, assieme alla fama di Sepp alpinista, la leggenda dell'uomo che presto accomunò italiani, austriaci e tedeschi sia durante che dopo la guerra.

Il 9 luglio l'arciduca Eugenio d'Asburgo conferì a Sepp la medaglia d'oro al valor militare.

Gli alpini italiani recuperarono la salma nonostante il tiro nemico per poterla seppellire, come sommo gesto di stima, sulla cima del Paterno per la quale e sulla quale egli era morto.

 

Note :

(1)-(3) Viktor Shemfil, Opere varie citate da Cristoph von Hartungen in Aquile in guerra

(2) A.Berti, 1915-1917. Guerra in Ampezzo e Cadore.