Avventure e disavventure        

           in Valle d'Aosta

di Tomaso Pizzorni - CAI Conegliano 2003

Avevo già effettuato la salita della "Cian" con una guida alpina del Cervino, compagno e maestro in precedenti e successive ascensioni e traversate.

Quel giorno d'inizio settembre 1959 eravamo partiti da Valtournanche quando era ancora buio, poichè il percorso era lungo: 6/7 ore di sola andata, con un dislivello in salita di 1850 metri, non pochi dei quali, quelli finali, in arrampicata classificata "difficile" dalla guida TCI/CAI, Alpi Pennine. E nonostante una prolungata sosta, al riparo di un roccione strapiombante, in attesa che cessasse la noiosa pioggerella e si dissolvesse la nebbia, eravamo riusciti nell'intento di salire la "cima" e rientrare senza problemi nella stessa giornata. 

La Punta Cian, m 3.320, fa parte del Gruppo dello Chateaux de Dames, A. Pennine; è una caratteristica montagna che, vista con una certa angolazione, costituisce la miniatura del Cervino. Con tanto di "spalla" e di "testa". Per la sua decantata bellezza e la pubblicità da me fatta, la Cian diventa oggetto del desiderio di tre giovani amici torinesi con cui mi trovo, in Val D'Aosta, durante le ferie.
Questo l'antefatto. Ed ora veniamo al ..... misfatto! 

All'insegna del motto mazziniano "pensiero ed azione" (anche se mi pare che il personaggio non brillasse per coraggio) decidiamo che la Punta Cian si deve fare. Di guida neanche a parlarne, visto che "ci sono io", ahiloro ritenuto un esperto. 

Pochi giorni dopo che ne abbiamo parlato (fine agosto '62) lasciamo il paese per raggiungere, bardati di tutto punto, il Bivacco "D. Manenti" del CAI Torino, dove è previsto il pernottamento per rendere meno pesante la gita. Il bivacco ha quattro posti, sufficienti per noi, salvo "intrusi"; è situato, a 2.790 metri, in bella posizione, su un costone roccioso soprastante il Lago di Balanselmo. Per l'avvicinamento occorrono circa 4 ore, tempo abbastanza normale, nelle Alpi Occidentali, per rifugi e bivacchi. Il dislivello è di circa 1.350 metri.

Con calma raggiungiamo il bivacco, fortunatamente vuoto; ne prendiamo possesso, contempliamo le circostanti cime e pareti illuminate dal Sole al tramonto, ceniamo al sacco e ci prepariamo per la notte. Due di noi si accomodano sui "sedili-branda", gli altri due si accontentano del pavimento, scomodo e duro. Il sonno ristoratore tarda ad arrivare, sia per l'ansia del domani, sia per la Luna che illumina, attraverso il vetro del finestrino, l'interno del mini-bivacco.  Ma anche la notte passa, finalmente è giorno, ora di sveglia. Prepariamo la colazione, riordiniamo il bivacco, riempiamo i sacchi con il pesante armamentario (corde, piccozze, ramponi, moschettoni di ferro, qualche cordino, etc...), viveri, cambi, sacco piuma e così via. Dal bivacco non si passa più. 

L'avventura ha inizio: la Punta Cian ci attende; il suo aspetto è a volte invitante, a volte no. Ho ben presente che tre anni or sono l'ho salita con guida, da secondo. Oggi, invece, dovrò farlo da primo di due cordate, ciò che cambia alquanto la situazione. Riflettendo un poco penso di essere un tantino incosciente; ma ormai è troppo tardi per tornare indietro. Per i tre amici rappresento "colui che sa". Quindi non resta che continuare. 

Raggiungiamo l'attacco della parete, stabiliamo i ruoli e formiamo le due cordate. Tocca a me iniziare: compio il primo movimento allungando il braccio sinistro per raggiungere un evidente appiglio in alto. Ma che succede? Sento un sinistro "crak" e vedo cadere a terra i pezzetti di vetro: ho schiacciato l'orologio contro la roccia. E pensare che l'avevo proprio girato di sotto per la sicurezza.
A questo punto non posso fare a meno di pensare che "chi mal comincia... è meglio che smetta". Ma, poi, le cose procedono bene: il tempo è ottimo, la roccia è sana e di temperatura quasi tiepida. Cosa vogliamo di più? 

Arrampichiamo senza difficoltà, superiamo bene la zona delle "placche" (non lisce e con buoni appigli/appoggi). Raggiungiamo la cima e ci complimentiamo a vicenda. Abbiamo tanto tempo a nostra disposizione, sostiamo a lungo sulla cima dalla quale possiamo ammirare montagne e pareti, spettacolari ed ambite, che ci piacerebbe salire. Mettiamo qualcosa sotto ai denti, ma alla fine concludiamo che si deve tornare a valle. 

Scenderemo per altra via, come ho fatto con la guida nella precedente occasione, portandoci al canalone di neve gelata che dovrebbe facilitare la discesa. E qui le cose si complicano.

Da guida improvvisata come mi rivelo, sbaglio percorso scambiando il primo canalone per il secondo. Vedo che la situazione è molto cambiata rispetto a tre anni fa: il canalone imboccato ha il fondo di ghiaccio grigio e non di neve dura. Ma dell'errata scelta mi renderò conto qualche giorno dopo, raccontando l'avventura all'amico guida.

Ora i miei amici manifestano evidenti incertezze, nell'uso combinato di ramponi e piccozza, in questa particolare condizione: ghiaccio grigio e durissimo. Eppure, in precedenza avevano salito con me due "quattromila". Siamo letteralmente in "braghe di tela", ma dobbiamo venirne fuori. Gli amici chiedono di legarci in cordata unica, per sentirsi più sicuri. Ovviamente resterò ultimo per fare da sicura dall'alto. E non posso fare a meno di accettare, mancando altre idee meno "insane". 

Riesco a far scendere i tre, uno alla volta, per un primo tratto di canalone, raccomandando ad ognuno di mettersi in sicurezza appena raggiunta una zona di possibile sosta.  Così penso di procedere nei tratti successivi, anche se mi rendo conto che la faccenda andrà per le lunghe. 

Mi sorge però un dubbio: come faranno ad assicurarsi (ed assicurami) i tre amici visto che il ghiaccio è durissimo e le sponde sono costituite da instabili sfasciumi? Non disponiamo di chiodi da ghiaccio (mai usati) e non credo possibili calate "in doppia" per l'evidente mancanza di ancoraggi sul materiale incoerente. Mi accingo a scendere, con la "sicurezza morale" dal basso (12/15 metri sotto). Devo contare sulla tenuta dei ramponi, anche se il pendio ghiacciato è piuttosto inclinato. Appoggio i piedi "ramponati" sul ghiaccio vivo e duro e... zac: perdo l'equilibrio? I ramponi non mordono bene? Insomma cado come un salame e scivolo lungo il canalone, rotolando verso il basso in un groviglio di corda.

Finalmente mi fermo, trattenuto dai miei compagni che, sentendo il mio urlo "arrivooooo" riescono a bloccarmi una decina di metri sotto di loro. Ancora adesso non so rendermi conto di come hanno fatto in una posizione così precaria. Sono stati bravi a non farsi trascinare tutti insieme poichè legati alla stessa corda. E se ciò fosse avvenuto? Beh, forse andava meglio per i lettori di Montagna Insieme! 

Mi rialzo incolume, con in mano la piccozza che non ho potuto (o saputo?) usare per fermare la folle discesa libera. Ho avuto una fortuna eccezionale; forse è intervenuto l'Angioletto Alpinista, mosso a compassione di un giovane imprudente. Dopo peripezie varie sono raggiunto dai tre spaventatissimi compagni di cordata che si rallegrano per lo scampato pericolo. 

Ora non ci resta che scendere, non sul fondo ghiacciato, ma sul fondo di sfasciumi, procedendo uno alla volta, sempre con la sicura (?) dall'alto fatta dal sottoscritto. Ci muoviamo con cautela, evitando di far rotolare sassi, per evitare altri guai. La sicurezza che ci facciamo è simbolica, ma - senza danno e in un tempo lunghissimo - raggiungiamo il terreno sicuro. Nel frattempo si è fatto tardi e tanto cammino ci rimane ancora da fare (anche se in discesa) per rientrare a Valtournanche.

Raggiungiamo il paese, quasi di corsa, quand'è ormai buio e i genitori dei tre amici stanno per chiamare le guide, temendo qualche disgrazia. Inventiamo incredibili spiegazioni e tutto finisce bene.

Morale del racconto (purtroppo vero!): la fortuna, da sola, non sempre basta per cavarsela, ma conta moltissimo, come nel caso nostro. Per "fare montagna" servono però esperienza e prudenza in dosi abbondanti; doti evidentemente scarse al momento dell'avventura felicemente conclusa.  

Nota: esattamente vent'anni dopo il fatto di cui sopra, cioè nel settembre del 1982, durante la salita alla stessa Punta Cian, con la medesima guida che mi accompagnò la prima volta, mia figlia perse l'orologio. 

Coincidenza? Maledizione di qualche "folletto"? Mah??